logo del sito Romainteractive
Sei in: Home > Gaio Giulio Cesare > Libro II - Cesare in Gallia: le invasioni degli Helvetii e dei Germani

LIBRO Ii - CESARE IN GALLIA: LE INVASIONI DEGLI HELVETII E DEI GERMANI


Cesare

I – Cesare, nominato proconsole della Gallia Cisalpina, della Gallia Narbonense - che noi chiamiamo Provincia - e dell'Illirico (58) si preparò a partire per l'Illiria, per difendere le provincie Romane da Burebista, che aveva unificato sotto il suo comando l’intera Dacia.


Burebista

Burebista aveva costruito sui monti Orastìe sette città fortificate, ponendo la sua reggia a Sarmizegetusa (=sede del re).

Da qui esercitava il suo dominio, che dalle montagne dei monti Carpazi arrivava fino al Danubio.

La Dacia, solcata da grandi fiumi, ha una fiorente agricoltura e grandi miniere di ferro e d'oro. 
Forte di queste ricchezze e mosso da insaziabile ambizione Burebista intendeva ampliare il proprio regno, attraversando il Danubio, per occupare le provincie Romane.

Ma proprio quando stavamo per lasciare Roma fummo raggiunti dalla notizia che i Dardani erano scesi in guerra contro i Daci tenendo impegnato Burebista, mentre nello stesso tempo l'intero popolo degli Helvetii si stava muovendo verso la Gallia.

Cesare pertanto mutati i piani, partì da Roma il più rapidamente possibile per raggiungere Genava (Ginevra).

Noi che avevamo seguito Cesare in Spagna sapevamo cosa voleva dire affrettarsi: ad ogni stazione si cambiavano i cavalli, si dormiva poche ore per notte, si mangiava a cavallo; così in cinque giorni percorremmo seicento miglia (900 km).

Intanto, per impedire agli Helvetii di invadere la Provincia, Cesare ordinò che a Genava fosse tagliato il ponte che attraversa il Rodano e poiché sul posto era dislocata una sola legione, ordinò che nella Provincia fossero arruolati quanti più soldati si poteva.

 

II – Gli Helvetii sono soliti azzuffarsi con i Germani dai quali li separa il fiume Reno.

Abituati alla guerra sono temibili guerrieri.

Durante il suo consolato (107) Lucio Cassio Longino, sconfitto da una tribù degli Helvetii fu ucciso.
Memore di ciò Cesare si preparava a un duro conflitto.

Arrivati a Genava le notizie che ci diedero i nostri esploratori erano peggiori di quanto avessimo immaginato.
L'intero popolo degli Helvetii, circa mezzo milione di abitanti, date alle fiamme città e villaggi, si era messo in marcia per la Gallia con uno sterminato numero di carri, di animali e viveri per tre mesi. 

Saputo che Cesare era già arrivato nella Provincia, gli Helvetii mandarono una ambasceria capeggiata da Nammeio e Veruclezio, per chiedere di potere attraversare la provincia, non essendoci altra strada.
Promettevano che si sarebbero astenuti da qualsiasi violenza e che non avrebbero arrecato danni.

Cesare non credette ad una sola parola degli ambasciatori, ma in attesa che nella Provincia l'arruolamento fosse portato a compimento, per guadagnare tempo disse che aveva bisogno di qualche tempo per deliberare intorno alla loro richiesta, tornassero dunque alle idi di Aprile (il 13 di Aprile) e avrebbe dato una risposta.

 

III – Questa migrazione degli Helvetii era invero inattesa.

Il fatto che avessero incendiato tutte le loro città e i loro villaggi, dimostrava la volontà di abbandonare definitivamente il territorio che avevano abitato per secoli e in pari tempo l'intento di non lasciarvi nulla di utile se, attraversato il Reno, fossero sopraggiunti i Germani. 

La Gallia Transalpina era la meta desiderata da un popolo come quello degli Helvetii che viveva stretto in una terra chiusa tra altissime montagne e il Reno, che da quelle montagne scende larghissimo e profondo.
La Gallia invece ha un territorio prevalentemente pianeggiante, ricco di acque, di terre coltivate e di pascoli. 

In queste fortunate terre si contano quasi cento tribù.

Ad oriente il Reno separa i Galli dai Germani, mentre le maggiori tribù sono stanziate entro le terre delimitate dai fiumi, Mosa, Sequana (la Senna), Garonna, Liger (Loira), e Rodano.

Il territorio della Gallia è circa quattro volte maggiore di quello Italico (l'autore considera soltanto l’Italia peninsulare). 
Si dice che gli uomini atti alle armi siano quattro milioni, mentre in Italia ne abbiamo meno di un milione.

A differenza dei popoli Spagnoli che hanno un capo al quale sono fedeli, ognuna delle tribù Galliche è divisa in due fazioni e non solo nell'intera tribù, ma anche nei villaggi e si può dire nelle stesse famiglie sono presenti due partiti, che si contendono il favore popolare.

 

IV – In tutta la Gallia solo due classi di persone sono considerate degne di rispetto: infatti i plebei non possono partecipare alle assemblee pubbliche, ma sottoposti a pesanti tributi e alle prevaricazioni dei potenti, spesso preferiscono concedersi quali servi. 

Le classi dominanti sono due, quella dei Druidi e quella dei cavalieri.

I Druidi riservano a se stessi le cose della religione, celebrano ogni tipo di sacrificio, giudicano le controversie pubbliche e private, pronunciano le sentenze.


Druidi

Chi non si attiene ai loro decreti viene espulso dalla sua stessa tribù.
I Druidi hanno un solo capo che ha tra loro somma autorità, alla sua morte gli succede colui che eccelle per dignità, se pari dignità è riconosciuta a più di uno gli stessi Druidi procedono per elezione.

Una volta all'anno si riuniscono nel territorio dei Carnuti, in un luogo consacrato, qui convengono da ogni dove, in attesa delle loro sentenze, coloro che hanno in atto controversie.
I Druidi sono esentati dalle guerre e dai tributi.
Attratti da tanti privilegi molti entrano nell'ordine.

Mandano a memoria un grandissimo numero di versi, nei quali consiste la loro religione, poiché non è considerato lecito affidarsi alla scrittura, mentre i documenti di uso pubblico e privato sono scritti utilizzando l'alfabeto greco.
In tal modo mantengono nell'ignoranza il popolo.
In primo luogo insegnano che l'anima è immortale ed che dopo la morte passa di corpo in corpo.

Tutti i Galli sono dediti alla religione, secondo la quale chi è malato guarisce, o se deve affrontare dei gravi pericoli sarà immune, facendo un sacrificio umano.
Tali sacrifici sono officiati dai Druidi.

Nei sacrifici pubblici viene preparato un enorme fantoccio di vimini, all'interno del quale è legato un uomo vivo: appiccato il fuoco l'uomo muore tra le fiamme.


Fantoccio

Credono che i loro dei preferiscano che siano immolati i ladri o i colpevoli colti in flagrante, tuttavia in mancanza di colpevoli si accontentano di mandare al supplizio anche gli innocenti. 
Tra gli dei il più venerato è Mercurio.

Se vincono una guerra immolano gli animali presi, mentre il resto della preda viene raccolto in uno stesso luogo.
Presso molte popolazioni, nei luoghi consacrati, si vedono cumuli innalzati col bottino di guerra.

 

V – L'altra classe privilegiata è quella dei cavalieri, che in occasione di ogni guerra, vale a dire prima del nostro avvento ogni anno, scendono in campo con tutti i loro clienti ed i servi atti alle armi.


Cavalieri

Dai cavalieri sono tratti i magistrati, ai quali soltanto devono essere riferite notizie o dicerie di pubblico interesse, per evitare turbamento nelle moltitudini.
I magistrati decidono cosa rendere pubblico e cosa tenere segreto.
Delle cose di interesse pubblico è lecito parlare solo quando, e se, vengono convocate le assemblee.

Secondo gli insegnamenti dei Druidi l'uomo ha diritto di vita e di morte sulla moglie e sui figli.
Se il capo di una famiglia ragguardevole muore di morte sospetta, i familiari svolgono un'inchiesta a carico della moglie: se giudicata colpevole viene prima torturata, poi uccisa.
I funerali sono magnifici e sontuosi.

Il corpo del defunto viene cremato, poi vengono date alle fiamme tutte le cose a lui più care, compresi gli animali. Nelle precedenti generazioni con lui venivano cremati i servi e i clienti preferiti. 

 

VI – Ai confini della Provincia le tribù più importanti sono quelle degli Edui e quella dei Sequani, spesso in conflitto tra di loro.

Gli Helvetii per uscire dalle loro terre ed entrare in Gallia avrebbero dovuto attraversare la Provincia, oppure, se ciò non fosse stato possibile, dovevano passare per una stretta gola controllata dai Sequani.

Essi andavano dicendo che intendevano stabilirsi presso i Santoni.

Tuttavia queste affermazioni non erano plausibili, infatti per arrivare nelle terre dei Santoni, avrebbero dovuto attraversare le terre degli Edui, quelle degli Arverni e quelle dei Lemovici, ma nessuno di questi popoli erano stato interpellato dagli Helvetii.

 

VII – Cesare pertanto, diffidando della parola degli ambasciatori, con la legione che aveva con sé e con i soldati che intanto arrivavano dalla Provincia, costruì dal lago Lemano al monte Giura un muro lungo dieci miglia (circa 15 km),alto sedici piedi (4,8 mt) ed un fossato.

Lungo il muro ad intervalli regolari fece innalzare delle torrette presidiate dai nostri.

Arrivate le idi di Aprile comunicò agli ambasciatori che non poteva concedere loro il passaggio attraverso la Provincia.
Di notte alcuni degli Helvetii cercarono di forzare il passo, ma vennero respinti.

Non restava loro altra possibilità se non quella di percorrere, con grandissimo rischio, la gola controllata dai Sequani.
Ricorsero allora alla mediazione dell'Eduo Dumnorige, che aveva sposato una nobile Helvetica ed era amico dei Sequani.


Dumnorige

Questi ottenne che i Sequani concedessero il passo agli Helvetii, a mutua garanzia furono scambiati ostaggi, perché i Sequani approfittando della favorevole posizione non attaccassero gli Helvetii e questi perché non arrecassero danni. 

 

VIII – In quel tempo presso gli Edui il personaggio più influente era un fedele amico del Popolo Romano, Diviziaco.


Diviziaco

Questi informò Cesare circa le intenzioni degli Helvetii che volevano attraversare le terre dei Sequani e degli stessi Edui, per raggiungere il territorio dei Santoni.

Per le ragioni ricordate Cesare pensò che il vero obiettivo degli Helvetii fosse quello di invadere la Provincia, pertanto lasciato il comando al legato Labieno, partimmo, ovvero galoppammo, al massimo delle nostre possibilità per l'Italia.


Labieno

Qui giunto Cesare arruolò due legioni, e tre ne richiamò da Aquileia dove svernavano.

Per la via più breve, attraversando le Alpi della Gallia Transalpina, sbaragliate le genti che ci volevano impedire il passo, attraversato il Rodano, arrivammo nei pressi di Lugdunum (Lione), nella terra degli Ambarri.

Come Cesare aveva previsto gli Helvetii, passati dal territorio dei Sequani in quello degli Edui, si diedero ai saccheggi.

Avevamo appena attraversato il Rodano, quando fummo raggiunti da ambasciatori degli Edui, degli Ambarri, consanguinei degli Edui e degli Allobrogi che avevano anch'essi villaggi oltre il Rodano. Tutti chiedevano il nostro aiuto per essere difesi contro le preponderanti forze nemiche.

Gli Allobrogi poi dicevano che non restava loro che la nuda terra.

In verità se gli Helvetii volevano andare dai Santoni, dopo essere passati per le terre dei Sequani e degli Edui, certo non sarebbero scesi verso il Rodano con tutti i loro carri, quando per andare ad occidente avrebbero dovuto attraversare alte montagne, mentre sarebbe stato ragionevole procedere verso occidente direttamente dal territorio dei Sequani senza incontrare alcuna montagna.

Ma Cesare, non volendo allarmare i popoli della Provincia, preferì dar credito alle voci che si erano diffuse. Temeva soprattutto che gli Allobrogi, da poco pacificati, con quella volubilità tipica dei Galli, decidessero di fare causa comune con gli Helvetii per ribellarsi ai Romani.

 

IX – Prima che le cose precipitassero Cesare decise di intervenire.

Gli Helvetii puntando risolutamente verso la Provincia, avevano cominciato ad attraversare il fiume Arar (Saona) poco prima che confluisse nel Rodano.

Informato dai nostri esploratori che tre quarti delle forze nemiche erano entrate nelle terre dei Segusiavi, Cesare al terzo turno di guardia (da mezzanotte alle tre di mattina) uscì dall'accampamento con tre legioni per attaccare coloro che non avevano attraversato il fiume.

Colti di sorpresa, quelli che non riuscirono a fuggire nelle vicine foreste furono uccisi.

Il popolo degli Helvetii è diviso in quattro parti, che chiamano cantoni, quelli che disperdemmo apparteneva al cantone dei Tigurini, proprio il cantone che aveva sconfitto e ucciso il console Cassio Longino.

Conclusa l'operazione Cesare per inseguire il nemico, fece costruire un ponte sull'Arar e vi fece passare le cinque legioni.

Gli Helvetii sorpresi dal subitaneo arrivo di Cesare e meravigliati perché in un solo giorno avevamo costruito il ponte, inviarono un'ambasceria.

Divicone, capo degli ambasciatori, tutt'ora persuaso della forza dei suoi armati, disse minacciosamente che se i Romani volevano la pace con gli Helvetii, essi erano disposti a stabilirsi dove Cesare voleva, ma se sceglieva la guerra, si ricordasse del loro antico valore e delle sconfitte che ci avevano inflitto.


Divicone

Non menasse vanto per una vittoria conseguita per aver colto di sorpresa uno solo dei loro cantoni.

Toccava a lui decidere se voleva che questo luogo fosse ricordato per la disfatta e la strage dell'esercito Romano.   

 

X – Cesare rispose che erano ben presenti nella sua mente i fatti che Divicone aveva ricordato, ma visto che aveva voluto parlare di sorpresa, sorpresa fu quella in forza della quale l'esercito Romano, di nulla colpevole, era stato sconfitto.

Ma anche dimenticando i fatti del passato, che dire delle violenze alle quali avevano sottoposto gli Edui, amici del Popolo Romano e gli Ambarri, loro consanguinei e gli Allobrogi?

La lunga impunità concedeva loro tanta arroganza?

Tuttavia se gli avessero consegnato ostaggi a garanzia delle loro promesse e si fossero impegnati a risarcire gli Edui, gli Ambarri e gli Allobrogi per i danni sofferti, farà la pace con loro.
Divicone rispose che i loro padri li avevano abituati a ricevere, non a dare ostaggi e ciò i Romani ben sapevano.

Ciò detto ripartì con il suo seguito.

 

XI – Il giorno successivo levato il campo gli Edui si misero in cammino, ma stavolta invece di scendere, presero a risalire lungo la riva destra dell'Arar, senza addentrarsi nelle terre degli Edui.

Cesare  fa altrettanto e manda innanzi la cavalleria per vedere dove sono diretti. I cavalieri circa quattromila, parte raccolti nella Provincia, parte forniti dagli Edui e dai loro alleati, seguendo imprudentemente il nemico, cadono in un agguato.

Cinquecento Helvetii respinsero i nostri.

Venimmo poi a sapere che causa di questa disfatta fu la fuga degli Edui, ma di ciò dirò a suo tempo.
Fattisi più arditi gli Helvetii invitavano i nostri al combattimento, ma a Cesare bastava impedire che saccheggiassero le terre degli Edui.

Passarono così quindici giorni con gli Helvetii che abbandonate le rive dell'Arar procedevano verso il Liger in direzione delle terre degli Arverni.

Sembrava che ci volessero portare fuori dal territorio dei nostri alleati per coinvolgere altri popoli nella guerra.

 

XII – Intanto una nuova preoccupazione affliggeva Cesare: passavano i giorni e il grano promesso dagli Edui non arrivava, né le messi erano mature perché si potessero mietere. Inoltre poiché gli Helvetii si erano allontanati dall'Arar, non potevamo neppure disporre del grano che, caricato su barche, avevamo fatto portare sul fiume.

Intanto con varie scuse gli Edui rimandavano la consegna, Cesare allora convocati i loro capi, tra i quali Diviziaco e Lisco, che quale vergobreto ricopriva la massima carica, li rimproverò severamente di  mancare alle promesse nel momento della sua maggiore necessità, mentre era sceso in guerra per rispondere alla loro richiesta di aiuto.

Messo alle strette Lisco disse che c'erano tra loro dei privati cittadini che avevano più potere degli stessi magistrati, costoro trattenevano la popolazione dal consegnare il grano dovuto, dicendo che se non erano in condizione di avere il primato, meglio che lo avessero altri Galli piuttosto che i Romani, che presto li avrebbero privati della libertà.

Cesare comprese che alludeva a Dumnorige, fratello di Diviziaco, peraltro non volendo mettere in difficoltà quest'ultimo, sciolse la riunione, trattenendo il solo Lisco. Rimasti soli Lisco gli confermò il suo sospetto, aggiungendo che Dumnorige, approfittando del prestigio che gli veniva dal fratello Diviziaco, in quegli anni si era enormemente arricchito e con le sue ricchezze manteneva al proprio servizio un gran numero di guerrieri, divenendo il capo di una fazione contraria al suo stesso fratello.

Inoltre, avendo preso moglie tra gli Helvetii, era completamente a loro favore, tanto che nel recente scontro, aveva guidato la fuga della cavalleria Edua, della quale era il comandante.

Data l'amicizia che nutriva per Diviziaco a Cesare ripugnava di infliggere a Dumnorige la giusta punizione, chiamato Diviziaco questi confermò le parole di Lisco, ma piangendo lo pregò di non metter e a morte il fratello.

Cesare rispose che avrebbe anteposto l'amicizia alla giustizia, quindi fatto venire Dumnorige gli contestò le accuse, aggiungendo che soltanto grazie al fratello lo perdonava, ma stesse attento a non destare sospetti, non ci sarebbe stato un secondo perdono.

Ciò detto lo congedò, facendolo peraltro strettamente sorvegliare da spie, per sapere cosa facesse e con chi si incontrasse.

 

XIII – Frattanto, seguendo gli Helvetii, eravamo arrivati a solo diciotto miglia da Bibracte, la maggiore e più ricca città degli Edui, pertanto per rifornirci di grano Cesare ordinò di lasciar perdere i nemici e di puntare su Bibracte.

Allora gli Helvetii da inseguiti si fecero inseguitori, forse per impedire che ci rifornissimo, o per altre ragioni, cominciarono ad attaccare la nostra retroguardia. Cesare non poteva desiderare di meglio, pertanto mentre la nostra cavalleria teneva a freno i nemici, fece occupare un colle vicino.

Schierate a metà colle le quattro legioni veterane, in cima al colle le due legioni di reclute e gli ausiliari, scese da cavallo e la stessa cosa impose a tutti, perché per tutti uguale fosse il pericolo e nessuna speranza di fuga.
Gli Helvetii, respinta la nostra cavalleria, vennero all'attacco in formazione di falange.

Arringati i soldati Cesare diede il segnale di battaglia.

La nostra prima linea con un fortissimo lancio di giavellotti, rotta la falange nemica, sguainate le spade si gettò all'attacco. 

Si combatté aspramente dall'ora settima (le 13) a notte inoltrata, quando ci impadronimmo dell'accampamento nemico e prendemmo prigionieri la figlia ed uno dei figli di Orgetorige (tra gli Helvetii era uno degli uomini più potenti).


Orgetorige

Centotrentamila Helvetii, abbandonati i carri e le donne, marciando tutta la notte senza mai fermarsi giunsero nel territorio dei Lingoni.  

Dovendo curare i feriti e dare sepoltura ai morti, non inseguimmo i nemici, Cesare peraltro mandò messaggi ai Lingoni, diffidandoli dal date aiuto agli Helvetii, se lo avessero fatto li avrebbe trattati da nemici.

Privi di ogni cosa necessaria gli Helvetii si diedero per vinti.

Cesare imposta la consegna di ostaggi e delle armi, ordinò che tornassero nelle loro terre e ricostruissero città e villaggi. Poiché erano rimasti senza viveri e prima di partire avevano distrutto i raccolti, ordinò agli Allobrogi di rifornirli di grano.

Agli Edui, che ne avevano fatto richiesta, consentì di accogliere nel loro territorio i Boi, noti per il loro valore, che si erano aggregati agli Helvetii.
Gli Edui assegnarono loro delle terre, concedendo diritti.

In pari tempo, mentre i guerrieri Helvetii fuggivano, una massa sterminata di vecchi, donne, bambini, soli, o abbandonati, furono lasciati al loro destino, Cesare li fece ospitare nella città di Vesontio.

Al termine di questa guerra tornarono nelle loro terre centodiecimila Helvetii.

In tal modo non restarono abbandonate terre che i Germani avrebbero potuto occupare, diventando vicini pericolosissimi per gli abitanti della Provincia, prima di tutti per gli Allobrogi.

 

XIV – Per congratularsi della vittoria vennero da Cesare ambasciatori da quasi tutta la Gallia, lieti, dicevano, per lo scampato pericolo, visto che gli Helvetii erano giunti per prendersi le terre migliori e per sottomettere quanti si fossero opposti.

Sciolta la riunione Diviziaco assieme ad altri, tornò da Cesare, chiedendo di parlargli segretamente in un luogo occulto.


Diviziaco

Compresa la gravità della richiesta Cesare si affrettò a concedere l'incontro, chiamando quale interprete Gaio Valerio Traucillo, uno dei più autorevoli personaggi della Provincia e suo intimo.

Parlò per tutti Diviziaco.

Tutta la Gallia disse era divisa in due fazioni una capeggiata dagli Edui, l'altra dagli Arverni, questi non riuscendo a conquistare il primato si erano alleati con i Sequani e di comune intento avevano fatto venire dalla Germania quindicimila mercenari, che ben presto si fecero raggiungere da altri Germani, fino ad arrivare a centoventimila.

Gli Edui con i loro alleati, gli Ambarri e i Segusiavi, avevano battagliato contro i nemici, venendo disastrosamente sconfitti. I Sequani li costrinsero a consegnare ostaggi, obbligandoli a non chiedere aiuto al Popolo Romano. Diviziaco peraltro era riuscito a non consegnare i propri figli, tuttavia non poteva mettere a rischio i figli degli altri.

Non era toccata ai Sequani sorte migliore, infatti Ariovisto, il re dei Germani, aveva occupato parte delle loro terre ed altre ne pretendeva per stanziarvi altri ventitremila mercenari che da poco lo avevano raggiunto.


Ariovisto

Solo Cesare avrebbe potuto impedire che in breve tutti i Germani invadessero la Gallia, cacciandone gli abitanti.

Mentre Diviziaco narrava tali cose, i Sequani presenti tacevano a capo chino, né Cesare riuscì ad indurli a parlare. Riprese allora la parola Diviziaco dicendo che i Sequani avendolo accolto si erano mesi nelle mani di Ariovisto,
un uomo barbaro, iracondo, temerario, che li opprimeva con somma violenza.

Cesare rassicurati i Galli promise di occuparsi della questione.

 

XV – Quanto era venuto a sapere convinse Cesare che gli Helvetii non erano venuti per caso, né soltanto di propria volontà.

Perché infatti l'Eduo Dumnorige, fratello di Diviziaco, la cui moglie era una nobile Helvetica ed era in ottimi rapporti con i Sequani, aveva convinto questi ultimi a concedere il passo agli Helvetii?

Se fosse riuscito a mettere l'uno contro l'altro i Germani e gli Helvetii, in modo che si massacrassero a vicenda, sarebbe stato considerato il salvatore della Gallia e i suoi sogni di grandezza non avrebbero avuto confini.

Era questo un disegno folle e temerario, come folle e temerario era Dumnorige, ma arrivato Cesare, sconfitti e rimandati in patria gli Helvetii, il suo castello di sabbia era crollato.

 

XVI – Cesare, confidando che Ariovisto, al quale durante il suo consolato aveva concesso molti benefici, avrebbe ascoltato le sue parole, gli inviò degli ambasciatori, chiedendo di incontrarlo a metà strada, per discutere di questioni di comune interesse.

Rispose Ariovisto che non capiva quali affari di comune interesse potessero avere, in ogni caso se voleva parlargli venisse presso di lui, come lui sarebbe andato da Cesare se avesse voluto parlargli. 

Tornati gli ambasciatori, riferita la risposta di Ariovisto, Cesare li rimandò perché dicessero che gli ingiungeva: primo, di non fare attraversare il Reno ad altri Germani.
Secondo, di restituire agli Edui gli ostaggi, in suo possesso ed in quello dei Sequani.
Terzo, che non facesse guerra agli Edui ed ai loro alleati.

Così facendo poteva aspettarsi il suo favore e quello del Popolo Romano.  

Altrimenti non avrebbe tollerato le ingiurie che aveva inflitto agli Edui, amici del Popolo Romano.

 

XVII – Rispose Ariovisto che gli Edui gli avevano mosso guerra ed erano stati sconfitti, dunque per diritto di guerra trattava i vinti a suo piacimento, come facevano i Romani; dunque non accettava nessuna ingiunzione, non avrebbe restituito gli ostaggi, ma non avrebbe fatto guerra agli Edui se si attenevano ai suoi comandi e gli pagavano regolarmente i tributi.

Se ciò non avessero fatto a nulla sarebbe valso il titolo di amici del Popolo Romano.

Quanto a lui se voleva sperimentare il valore dei Germani, gli avrebbe dimostrato di cosa fossero capaci, loro che invitti da quattordici anni non conoscevano tetto.

 

XVIII – In quel mentre, giunsero messi dagli Edui e dai Treviri, gli uni per lamentare che nonostante la consegna degli ostaggi Ariovisto saccheggiava le loro campagne, i secondi per avvertire che gli abitanti di un centinaio di villaggi Suebi erano pronti ad attraversare il Reno.

Cesare, ad evitare che i nuovi venuti accrescessero in modo incontrollabile le forze di Ariovisto, rifornitosi di grano, a marce forzate si fece incontro al nemico.

Eravamo in marcia da tre giorni quando Cesare fu informato che Ariovisto si preparava ad occupare Vesonzio (Besancon),nel territorio dei Sequani.

Questa città fortificata disponeva di ogni cosa utile alla guerra, inoltre essendo per la maggior parte circondata dal fiume Dubis (Dubs) e per la parte restante protetta da un altissimo monte, risulta imprendibile.

Cesare pertanto decise che ad ogni costo doveva impedire che Ariovisto la occupasse, quindi se prima avanzavamo di giorno a marce forzate, ora a marce forzate procedemmo di giorno e di notte, riuscendo di poco a precedere il nemico.

 

XIX – Mentre a Vesonzio ci rifornivamo di viveri, quelli che avevano seguito Cesare per coltivare la sua amicizia, cominciarono a chiedere notizie sui Germani. Rispondevano i Galli magnificando la loro gigantesca corporatura, il loro ineguagliabile valore e per finire la loro ferocia nei combattimenti.

Accadde allora che quelli che si erano uniti a noi per loro utilità, chi con una scusa chi con un'altra, chiesero a Cesare di essere autorizzati a partire e quelli che per non essere accusati di codardia restarono, chiusi nelle proprie tende, facevano testamento.

In breve si sparse il panico, chi diceva che  nelle vicine selve i Germani ci avrebbero massacrato, chi sosteneva che saremmo restati senza rifornimenti e ci fu anche chi disse che quando Cesare avrebbe dato l'ordine di combattere i soldati si sarebbero rifiutati di seguire le insegne.

Appena Cesare avvertì che si diffondevano tali dicerie, convocò il consiglio di guerra, al quale fece partecipare i centurioni di ogni ordine, che accusò aspramente di fare congetture su dove e con quali intenzioni sarebbero stati condotti.

Ricordassero che Gaio Mario aveva sconfitto e messo vergognosamente in fuga i Cimbri e i Teutoni, che in quel tempo venivano considerati i più feroci dei Germani, né occorreva un grande sforzo di memoria per ricordare che questi stessi Germani erano stati spesso sconfitti dagli Helvetii, che avevamo ricacciato nelle terre d'origine.


Gaio Mario

Infine aggiunse che poiché si diceva che non avrebbero seguito i suoi ordini, quella stessa notte, al quarto turno di guardia (dalle tre alle sei di mattina) avrebbe fatto ciò che intendeva fare più avanti, quindi mosso il campo avrebbe saputo se in loro poteva più l'onore o la codardia; se poi non lo avessero seguito, avrebbe fatto della X legione, della quale non dubitava, la sua guardia pretoriana e con questa sarebbe partito.

 

XX – Le sue parole ottennero l'effetto desiderato.

Per primi quelli della X legione, ringraziato Cesare per la fiducia loro accordata, si dichiararono pronti a combattere, poi anche le altre legioni incaricarono i tribuni e i centurioni di porgere le loro scuse: mai avevano dubitato o temuto, né pensavano che toccasse a loro e non al comandante stabilire la condotta della guerra.

Accettate le scuse, al quarto turno di guardia, come preannunciato, Cesare per un itinerario tracciato da Diviziaco condusse l'esercito in luoghi aperti.

Al settimo giorno di marcia fu informato dagli esploratori che l'esercito di Ariovisto distava ventiquattro miglia (circa 36 km).

Questi avuta notizia dell'arrivo di Cesare gli manda a dire che poiché era venuto da lui, era disposto ad incontrarlo. Gaio Giulio, non volendo escludere la possibilità che Ariovisto scendesse a più miti consigli, accettò la proposta.

Costui da uomo maestro d'inganni, temendo l'altrui malizia, chiese che Cesare si facesse accompagnare dalla sola cavalleria, poiché altrimenti temeva di essere circondato dalla fanteria Romana.
Cesare accolse anche questa richiesta, ma diffidando e di Ariovisto e della cavalleria Gallica, fece montare a cavallo i legionari della X legione.

Mentre si avviava all'incontro uno dei legionari argutamente osservò che Cesare faceva molto più di quanto avesse promesso, la mattina aveva detto che avrebbe fatto di loro la sua coorte pretoria e ora addirittura li promuoveva cavalieri (da quel giorno la decima legione fu chiamata decima legione a cavallo, Legio X Equestris).

 

XXI – Il luogo scelto per l'incontro era una modesta altura al centro di una vasta pianura.

Quando giungemmo a duecento passi (circa 300 mt) da questa altura ci fermammo: in quella arrivarono dei messi di Ariovisto, chiedendo che l'abboccamento avvenisse alla presenza di solo dieci cavalieri per parte e senza scendere da cavallo.

Cesare accondiscese.

Arrivati infine alla presenza l'uno dell'altro, presa la parola Cesare ribadì le proprie condizioni. Ariovisto rispose prima millantando le proprie virtù, poi dicendo che era entrato in Gallia chiamato dai Galli, né era stato lui a muovere guerra, ma erano stati gli stessi Galli ad attaccarlo, dunque per diritto di guerra aveva imposto loro tributi e si era fatto consegnare ostaggi.

Questa era la sua provincia Gallica, come l'altra era quella Romana. Nondimeno non avrebbe fatto guerra agli Edui se questi avessero pagato regolarmente i tributi.  

Peraltro se Cesare non fosse tornato nella sua provincia lo avrebbe considerato suo nemico e sapeva per certo che molti nobili Romani gli sarebbero stati eternamente grati se lo avesse ucciso. Ma se avesse seguito il suo ordine gli avrebbe dato un grandissimo premio e avrebbe fatto per conto suo tutte le guerre che voleva, senza che si dovese scomodare.

Mentre Cesare si apprestava a rispondere fu avvertito che la cavalleria Germanica si stava avvicinando lanciando frecce sui nostri.

Interrotta la conversazione Cesare tornò presso la nostra cavalleria, ordinando di non rispondere alle provocazioni nemiche.

 

XXII – Quando i legionari vennero a conoscenza delle oltraggiose parole di Ariovisto e delle proditorie provocazioni dei Germani, furono presi da un desiderio di combattere così furioso che a stento potemmo fermarli.

Due giorni dopo Ariovisto chiese a Cesare un nuovo abboccamento per concludere la discussione interrotta, oppure di mandare qualcuno dei suoi legati.

Cesare non vedeva nessuna utilità in questo secondo incontro, decise tuttavia di sentire cosa volesse Ariovisto, quali suoi messi mandò Marco Mezio che aveva con Ariovisto vincoli di ospitalità e Gaio Valerio Caburio, il cui padre per i suoi grandi meriti aveva ottenuto la cittadinanza Romana.

Questi arrivati nel campo nemico furono da Ariovisto gettati in catene.

 

XXIII – Nei giorni che seguirono l'unica preoccupazione di Ariovisto fu quella di impedire che ci arrivassero i rifornimenti, peraltro quando gli fu offerta l'occasione di combattere restò rintanato nei suoi accampamenti.

Sembra che ciò fosse dovuto ad una superstizione, secondo la quale non avrebbe dovuto attaccare battaglia sino al sorgere della luna nuova.  

Ma Cesare osservato il fiero desiderio dei soldati di combattere, si portò con le sue legioni sotto al campo nemico, irridendo alla viltà dei Germani, che a questo punto furono quasi costretti a venire alle mani.

Per prima Cesare lanciò all'attacco la X legione posta alla nostra ala destra, dove più debole appariva lo schieramento nemico. Lo scontro fu così rapido che mancò il tempo di lanciare i giavellotti, subito si venne al corpo a corpo.

I Germani secondo il loro costume si disposero a falange, ma tale fu l'impeto dei nostri che spezzarono la falange nemica. Viceversa a sinistra le preponderanti forze dei Germani stavano mettendo in grave difficoltà i nostri, allora Publio Crasso (il figlio maggiore del triumviro) comandante della cavalleria intervenne tempestivamente rovesciando le sorti della battaglia.


Publio Crasso

Lo scontro proseguì ancora per poco con incredibile violenza, fino a quando, feriti ed esausti, i Germani non cominciarono ad arretrare.

Di lì a poco assistemmo alla rotta dei nemici, che in precipite fuga percorsero cinquanta miglia (75 km) fino ad arrivare al Reno, sempre inseguiti dalla nostra  cavalleria. Ariovisto si mise in salvo attraversando il fiume su una barchetta, entrambe le sue mogli perirono nella fuga, delle due figlie una cadde, l'altra fu catturata.

Gli Suebi che arrivando dalla Germania erano pronti ad attraversare il Reno per unirsi ad Ariovisto, vista la malaparata mentre si preparavano a tornare nelle proprie terre, furono sterminati dalle tribù nemiche.

Cesare che con la cavalleria incalzava il nemico, arrivò a tempo per salvare Gaio Valerio Proculo, che incatenato veniva trascinato dai custodi in fuga e di lì a poco gli fu condotto anche Marco Mezio. Grande fu la sua soddisfazione tanto da sembrare che la salvezza di uomini tanto fidati gli desse la stessa gioia della memorabile vittoria.

Libro I Libro III
Libro IV Libro V
Libro VI Libro VII
Libro VIII Libro IX
Libro X Libro XI
Libro XII Libro XIII
Libro XIV

 

 

back

Vai al sito dell'Università di Roma Tor Vergata