logo del sito Romainteractive
Sei in: Home > Gaio Giulio Cesare > Libro VIII - Dalla morte di Crasso alla battaglia di Alesia

LIBRO VIII - DALLA MORTE DI CRASSO ALLA BATTAGLIA DI ALESIA

I – Tacitate le voci di guerra, Cesare tornò in Italia.

Lasciate alle spalle le vicende della Gallia, fu chiamato ad affrontare la grave situazione che andava maturando a Roma.
La prima causa che generò incertezza fu la morte di Marco Licinio Crasso (nell'anno 53), caduto combattendo contro i Parti, con il figlio maggiore, che aveva combattuto in Gallia agli ordini di Cesare.

La scomparsa di Publio Crasso, che Cesare amava come un figlio, andato a morire nella Partia per difendere il padre, causò a Gaio Giulio uno strazio pari a quello sopportato per la morte della figlia Giulia.

Licinio Crasso Publio Crasso

Scomparso Crasso gli Ottimati, spinti da Catone, del quale era noto l'antico rancore contro Cesare, tentarono con ogni mezzo di riprendere il controllo dello stato.

A tal fine diedero mano libera a Tito Annio Milone, che con la sua banda perseguitava i Populares, arrivando al punto di candidarlo al consolato, ma Milone, che teso un agguato, aveva fatto uccidere Clodio (fine del 53), accusato di omicidio non poté concorrere al consolato.

Catone Clodio

Nel processo a suo carico fu difeso da Cicerone, ma questi, intimorito dalle minacce della plebe, pronunciò una tremebonda orazione.

Milone anticipò la condanna andando in esilio a Marsiglia.

Dove poté leggere la bella orazione Pro Milone, che Cicerone aveva preparato e si dice che dopo averla letta abbia detto: “Se oltre a scriverla l’avessi pronunciata in tribunale, non sarei qui a gustare queste triglie barbute”.

Cicerone Milone

Con il pretesto della sconfitta di Crasso, gli Ottimati chiamarono alla leva i giovani di tutt'Italia.

Infine iniziarono a blandire Pompeo promettendogli il consolato per l'anno seguente (il 52) e in effetti furono eletti consoli Pompeo e Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica, uno dei più superbi e più violenti tra gli Ottimati.

In tali pericolosi frangenti Cesare affidò le sue sorti al giovane Gaio Scribonio Curione, grande oratore, che aveva sposato Fulvia nipote di Gaio Gracco.

Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica Gaio Scribonio Curione

Cesare non ebbe comunque il tempo di occuparsi delle questioni Romane, perché venne a sapere che i Druidi stavano preparando la più grande rivolta mai ordita in Gallia.

 

II – La tentata sedizione dei Senoni e dei Carnuti era fortemente sospetta, infatti nel territorio dei Carnuti si trova un luogo consacrato, considerato il centro della Gallia, dove il capo supremo dei Druidi celebra riti misteriosi.

In quello stesso luogo ogni anno convergono tutti i Druidi e tutti coloro che hanno in corso controversie, gli uni per ricevere gli ordini del capo, gli altri per conoscere le sentenze che li riguardano.
Pochi dubbi quindi che la rivolta di Accone e la tentata sedizione dei Carnuti fossero state ispirate dai Druidi, che certamente protessero la fuga dei complici dello stesso Accone.

Cesare sperava che la pena inflitta ad Accone sarebbe stata di monito per i Galli, mostrando come i Druidi non fossero stati capaci di salvarlo.
Per ogni evenienza aveva comunque concentrato negli accampamenti invernali di Agendicum (Sens) sei legioni.

Ma i Druidi ormai si battevano per la loro stessa sopravvivenza, infatti a causa della disfatta delle popolazioni Aremoriche, della resa dell'Aquitania, delle ripetute sconfitte dei Belgi, sulla cui alleanza in funzione anti-Romana contavano, sentendosi accerchiati, temevano che senza una lotta mortale la loro fine fosse imminente, tanto più che non potevano più sperare nell'aiuto dei Britanni, né in una azione diversiva dei Germani, visto che gli Suebi erano fuggiti lontano dal Reno, mentre i Batavi e gli Ubi si erano alleati con Cesare.

I Druidi dunque cominciarono a sobillare i più sediziosi, dicendo che ciò che era capitato ad Accone, poteva capitare a ognuno di loro.
“Vergognoso era il destino di coloro che piegavano il capo sotto il piede di Cesare”.
Quello stesso Cesare che trattenuto in Italia a causa delle discordie tra i Romani, non poteva raggiungere il proprio esercito in Gallia.

Come già ricordato ogni città della Gallia, ogni villaggio, persino ogni famiglia è divisa in due fazioni, che in questo momento erano costituite da quella guidata dai Druidi e quella filo-Romana che seppure in estrema difficoltà, tuttavia restava a noi fedele.

Dai nostri amici fummo informati di ciò che macchinavano i nostri nemici.
Ad Agendicum si trovava Marco Antonio, figlio di Giulia Antonia, cugina di Cesare, questi come comandante della cavalleria Romana, si era fatto apprezzare in Palestina e in Egitto per il suo valore e per la sua accortezza.


Marco Antonio

A Roma conobbe e divenne amico di Curione, che come detto era il fiduciario di Cesare. Chiamato in Gallia (nel 54) divenne uno dei legati, imparando da Cesare a trattare i soldati con cordiale familiarità, né rifiutava di mangiare alla tavola dei legionari, né di bere e di scherzare con loro.

I Galli nostri amici, preferendo abboccarsi con lui che con altri comandanti, lo incontrarono segretamente, informandolo di quanto grave fosse la situazione e come gli eventi minacciassero di precipitare da un momento all'altro.

Antonio scrisse a Cesare.

 

III – Infiammati gli animi, i Carnuti si dicono pronti alla guerra; i Druidi, convocati nella massima segretezza tutti i congiurati, fanno giurare i convenuti che non abbandoneranno da soli i Carnuti.

Scambiati i giuramenti, tutti si dicono pronti alla guerra.

Nel giorno convenuto i Carnuti comandati da Gutruato e Conconnetodunno entrano in Cenabum (Orleans), uccidono tutti i cittadini Romani presenti e si impadroniscono dei loro beni.


Gutruato

La notizia si diffonde dovunque e già a sera gli Arverni vengono a conoscenza di ciò che era accaduto a Cenabum (che si trovava ad oltre 300 km di distanza).

Tra gli Arverni si distingueva Vercingetorige, figlio di Celtillo, uomo potentissimo, che per aver mirato al dominio dell'intera Gallia era stato messo a morte, si dice per volontà dei Druidi, i quali diffidando di Gutruato e Conconnetodunno che a Cenabo si erano comportati più da ladri che da condottieri, scelsero come capo della rivolta Vercingetorige.


Vercingetorige

Costui era stato dapprima cacciato da Gergovia (la sua città), poiché i capi degli Arverni non volevano la guerra contro i Romani, ma rientrato nello stato caccia sua volta i suoi avversari e sotto gli auspici dei Druidi viene proclamato re.

Non più segretamente, ma palesemente, contando sulla lontananza di Cesare, crea una lega con i Senoni, i Parisi, gli Aulerci, gli Andecavi, i Turoni, i Pittoni, i Lemovici, e i Cadurci. 

Gli viene conferito il comando della lega.  
Vercingetorige a imitazione dei Romani, impone ostaggi a tutti gli alleati e ordina che ogni tribù gli mandi cavalieri e soldati.
Formato l'esercito, impone una disciplina feroce, per ogni mancanza grave infligge la pena di morte, per mancanze più lievi fa tagliare le orecchie o cavare un occhio.

Quando si sente pronto manda il Cadurco Lutterio contro i Biturigi, mentre lui stesso muove contro i Ruteni.


Lutterio

I Biturigi chiedono aiuto agli Edui, dei quali erano clienti.
Su consiglio dei legati di Cesare gli Edui mandano in soccorso cavalieri e fanti, ma arrivati sulle rive del Liger (la Loira) si fermano e tornano indietro, dicendo ai nostri legati che i Biturigi d'accordo con gli Arverni avevano teso loro una trappola.

Allontanatisi gli Edui i Biturigi fanno causa comune con gli Arverni.

 

IV – Informato di tutti questi rivolgimenti, in piena stagione invernale Cesare parte per la Gallia Transalpina, ma si trova impossibilitato a raggiungere Agendicum per la solita strada, a causa delle nevi che bloccano i passi Alpini.

Frattanto Lutterio portati dalla sua parte i Ruteni, tenta di irrompere nella provincia verso Narbona.

Senza esitare Cesare via mare raggiunge Narbona, rassicura i provinciali disponendo guarnigioni tra i Volci Arecomici, i Tolosati e intorno a Narbona.

Ordina a parte delle truppe della Provincia di convergere verso il paese degli Helvii.

Ciò disposto riprende il mare e sbarcato a Massalia avanza verso le terre degli Helvii con i legionari che aveva condotto con sé dall'Italia. 

Gli Helvii sono separati dagli Arverni dal monte Cebenna che si alza come un muro tra i due popoli.

Nessuno aveva mai attraversato d'inverno il Cebenna.
Non di meno Cesare pensò che questa fosse l’unica via da percorrere per sorprendere i nostri nemici.

La neve era alta sei piedi (circa 1,80 mt), i legionari per far passare i carriaggi dovevano spazzarla.

Cebenna - clicca per ingrandire

Quando arrivammo sulla cima il sole splendeva alto illuminando una interminabile distesa di neve tanto bianca che era difficile tenere aperti gli occhi.
Infine aperta con grande fatica la strada piombiamo sugli Arverni.

Colti di sorpresa questi che, protetti dal Cebenna, si sentivano al sicuro, fuggono per ogni dove. Cesare ordina alla cavalleria di fare scorrerie il più lontano possibile per spargere il terrore.

Gli Arverni mandano messi a Vercingetorige, chiedendo che venga in loro soccorso.
Come Cesare aveva previsto e voluto, Vercingetorige abbandonate le terre dei Biturigi, muove le truppe verso l'Arvernia.

Ma Cesare lascia Giunio Bruto con l'ordine di continuare le scorrerie, mentre segretamente a tappe forzate va a Vienna (Vienne) dove aveva fatto arrivare tra gli altri quattrocento cavalieri Germani.


Giunio Bruto

Senza fermarsi, cavalcando di notte e di giorno, attraversate le terre degli Edui arriva ad Andematunnum (Langres) tra i Lingoni, dove svernavano due legioni. Qui giunto richiama da Agedincum (Sens) le altre sei legioni.
Vercingetorige appreso che Cesare non era più in Arvernia, torna tra i Biturigi e da qui va all'attacco di Gorgobina (La Guerche), dove Cesare aveva stanziato i Boi.

Cesare preferì correre il rischio di restare a corto di viveri che abbandonare gli alleati, pertanto lasciate ad Agedincum due legioni ed i bagagli di tutte le legioni, avanzò alla volta di Gorgobina, annunciando agli abitanti il suo prossimo arrivo.

Ma per forzare Vercingetorige ad abbandonare l’assedio, attaccò le città dei suoi alleati.
Due giorni dopo aver lasciato Agedincum, giunto in prossimità di Vellaunodunum (Montargis) la cinse d'assedio.
Dopo aver invano atteso l'aiuto di Vercingetorige la popolazione si arrende.

Lasciato Gaio Trebonio a completare le operazioni, in due giorni Cesare arriva a Cenabum (Orleans) dove i Carnuti avevano compiuto l'eccidio dei cittadini Romani. Pensando che Cesare fosse ancora alle prese con l'assedio di Vellaunoduno, i Carnuti decidono con tutta calma di mandare un contingente in difesa di Cenabum, ma intanto eravamo arrivati e posto il campo davanti alla città ci preparavamo ad assalirla.

Un ponte attraversa il Ligier ed immette nella città.
Cesare prevedendo che i Cenabesi, attraversato il fiume intendano fuggire, ordina che due legioni veglino in armi.
Attorno alla mezzanotte i Cenabesi incominciano ad abbandonare la città.

Cesare ordina di sfondare le porte, si impadronisce della città che viene incendiata.
Per la strettezza del ponte pochi dei nemici riescono a fuggire, la massa viene catturata e data come preda ai soldati.

La mattina successiva oltrepassato il Ligier l'esercito avanza nel territorio dei Biturigi.

 

V – Nell'intento di non lasciare nemici alle spalle, Cesare, incontrata sulla sua strada Noviodunum Biturigium (Neung-sur-Bevron) si prepara ad assediarla; gli abitanti mandano ambasciatori pregandolo di risparmiarli, ma quando vedono che Vercingetorige, che aveva dovuto abbandonare l'assedio di Gorgobina per difendere le città alleate, stava arrivando in loro soccorso con tutta la cavalleria, chiudono le porte della città.

A stento i centurioni entrati per trattare la resa si salvano.
Vercingetorige contando sul gran numero dei propri cavalieri, ingaggia battaglia.

Cesare ordina a Marco Antonio di guidare il contrattacco della nostra cavalleria, quando vede i nostri in difficoltà manda alla carica i quattrocento cavalieri Germani, che aveva tenuto accanto a sé fin dall'inizio.

I Galli non riescono a resistere alla furibonda carica dei fortissimi Germani.
Volte le spalle fuggono a briglia sciolta.
Gli abitanti di Noviodunum, stavolta si arrendono definitivamente.

Cesare senza fermarsi punta su Avarico (Chartes), che è considerata la più bella città di tutta la Gallia.

Vercingetorige, pur provato da tante sconfitte è costretto a difendere Avaricum.
Cesare assedia la città, ma per la conformazione del luogo non può circonvallarla come avrebbe desiderato.

In quel frangente divennero sospetti gli Edui, nostri antichi alleati, che Cesare aveva difeso nelle più difficili situazioni. Infatti il grano che dovevano portarci, non arrivava, mentre i fedeli Boi, ci mandavano tutto ciò che avevano, ma erano pochi e poco il grano. 

 

VI – I Druidi, delusi per l'andamento della guerra, per la rapidità con cui Cesare aveva espugnato Vellaunoduno, Cenabo, Noviodunum, per la rotta della cavalleria, richiamato Vercingetorige gli consigliano di non affrontare i Romani in campo aperto: la guerra deve essere condotta in modo del tutto nuovo, si deve fare terra bruciata attorno ai Romani per ridurli alla fame, tutti i villaggi, tutte le città che non possono essere difese devono essere date alle fiamme; la stagione favorisce il loro disegno, poiché è appena iniziato il disgelo e per i cavalli non c'è foraggio da tagliare.

Vercingetorige convoca a consiglio i capi dei popoli alleati, illustra quali siano i provvedimenti da prendere, spiega che così facendo i Romani, affamati, saranno costretti a ritirarsi e quando, impediti dagli zaini e dai bagagli si incolonneranno, sarà facile attaccarli e sconfiggerli definitivamente.

Comprende che questi provvedimenti possono apparire duri, ma con la sicura vittoria tutte le città e tutti i villaggi rifioriranno, la Gallia tornerà libera all'antico splendore.

Le sue proposte vengono approvate all'unanimità.
In breve tutte le città e tutti i villaggi dei Biturigi e dei Carnuti, che potevano essere raggiunti dai Romani, vengono dati alle fiamme.

Ma Avarico non poteva essere abbandonata.

 

VII – La città, circondata da fiumi e protetta a settentrione da una palude, sorge su un alto pianoro. L'unico accesso è così stretto da poter essere facilmente difeso dall'alto muro che vi era stato eretto. Quel muro, come gran parte delle mura Galliche, è costruito alternando grosse travi, terriccio e pietre.

In tal modo resiste al fuoco ed all'ariete.
Non potendo circonvallarla Cesare pone il campo di fronte alla città.

Vercingetorige, volendo evitare lo scontro, si accampa oltre alla palude (a circa 20 km da Avarico).
I nostri incominciano ad apprestare il terrapieno, le torri, le gallerie.

Con frequenti sortite i Galli tentano di fermare i lavori.

Il grano, che gli Edui dovevano consegnare, arrivava in minima quantità tanto che esaurite le scorte per più giorni i soldati si sfamavano solo con il bestiame catturato, non senza pericolo, nei più lontani villaggi.

Cesare vedendo le sofferenze dei legionari diceva loro che se non riuscivano a sopportare oltre le privazioni avrebbe tolto l'assedio, ma tutti gridavano di non farlo, non avrebbero sopportato un tale affronto, loro che lo avevano sempre servito, avrebbero considerato un disonore abbandonare l'assedio già cominciato.

Frattanto Vercingetorige, dopo aver consumato tutto il foraggio della zona, parte dal suo campo con la cavalleria.
Cesare, informato del fatto, verso la mezzanotte avanza verso il campo nemico.
Ma gli esploratori dei Galli avvertono il pericolo e la sorpresa fallisce.

Peraltro Vercingetorige viene incolpato di aver lasciato l'esercito alla mercé dei Romani, costretto a difendersi dice di non aver affidato il comando a nessun altro nel timore che per avventatezza avrebbe potuto ingaggiare battaglia.

Infine produce falsi testimoni i quali, opportunamente istruiti, dichiarano che Cesare, se entro tre giorni non farà progressi, ritirerà l'esercito.
Superata la crisi Vercingetorige manda diecimila soldati in soccorso di Avarico.

Col resto delle truppe (circa 50 mila uomini tra fanti e cavalieri) resta nel proprio campo. 

 

VIII – Come detto l’unico accesso ad Avarico era costituito da una stretta salita in vetta alla quale i Galli avevano innalzato un alta muraglia dalla quale bersagliavano chiunque tentasse di avvicinarsi.

Cesare allora ordina di costruire un terrapieno più alto della muraglia.
Dopo venticinque giorni di ininterrotti lavori il terrapieno largo trecentotrenta piedi (circa 100 mt) ed alto ottanta (circa 25 mt) è pronto e pronte sono anche le gallerie e le torri.

I nemici tentano in ogni modo di fermare la nostra avanzata.
Infuria la battaglia fino a notte inoltrata.

Arriva l'ordine di Vercingetorige di abbandonare la città, ma le donne dopo aver invano supplicato i guerrieri di non abbandonarle, con alte grida ci avvertono della imminente fuga. Temendo che le vie fossero occupate dalla nostra cavalleria i Galli rinunciano al loro proposito.

Il giorno appresso, mentre cadeva una fitta pioggia, e i nemici vinti dallo scoramento vigliavano stancamente, Cesare ordina l'attacco.

Le gallerie si riempiono di legionari, vengono fatte avanzare le torri, i soldati volano sulle mura nemiche.

Ai Galli non è concessa via di fuga.
Avarico è presa.

Di quarantamila abitanti solo ottocento riescono a raggiungere il campo di Vercingetorige.

 

IX – I Druidi non cessano di incitare i popoli della Gallia alla ribellione; così mentre i Senoni e i Parisi correvano alle armi, dalla terra dei Nitiobrogi, in un momento assai critico, raggiunse Vercingetorige con la sua cavalleria il loro re Teutomato.

Il suo arrivo confortò le parole di Vercingetorige, che andava dicendo di non abbattersi per la caduta di Avarico, poiché molti altri popoli stavano per arrivare in loro soccorso.

Cesare, dopo aver fatto riposare e sfamare l'esercito con le provviste di cui Avarico era piena, visto che l'inverno cedeva il passo alla buona stagione, si preparava ad assediare i nemici che tuttora restavano rintanati nelle paludi, quando i capi degli Edui vennero da lui chiedendo il suo aiuto.

Il paese era sull'orlo della guerra civile, si contendevano infatti la suprema magistratura Convittolitave e Coto, tutto il paese era in armi e diviso tra i partigiani dell'uno e dell'altro, se Cesare non fosse intervenuto con la sua autorità, certamente si sarebbe arrivati al conflitto.

Cesare, avendo già avvertito che il paese era in subbuglio, considerata l'importanza che il popolo degli Edui aveva sempre rappresentato per i Romani e temendo che la parte soccombente potesse chiedere aiuto a Vercingetorige, rinunciò all'assedio e partì per Decetia (Decize) dove aveva convocato i maggiorenti degli Edui e i due contendenti.

Venuto a conoscenza dei fatti, in osservanza della legge degli stessi Edui, costrinse Coto a rinunciare alla carica, che assegnò a Convittolitave, peraltro sostenuto dai Druidi.
La decisione presa da Cesare, per quanto dettata da criteri di giustizia, si sarebbe tuttavia risolta a nostro danno.

Infatti i Druidi dicevano che anche il grande Cesare aveva dovuto soggiacere al loro potere ed i seguaci di Coto si allontanarono dall'alleanza con Roma.

 

X – Intanto Cesare non sottovalutando la ribellione dei Senoni e dei Parisi e volendo impedire che unissero le loro alle forze di Vercingetorige, mandò a Lutetia (Parigi) Labieno con quattro legioni. Lasciò ad Agedincum a difesa dei bagagli le due recentemente arruolate.

Non potendo snidare dalle paludi Vercingetorige, decise di lasciare Decetia, muovendo con quattro legioni alla volta di Gergovia (Clermont-Ferrand), la capitale degli Arverni.

Richiamato dai suoi compatrioti Vercingetorige, per impedire a Cesare di attraversare il fiume Elaver (Alier) ne presidiava le rive.

Ma nonostante tutti i suoi sforzi la disciplina dei Galli restava quella di sempre, pertanto i suoi esploratori non si accorsero che mentre due legioni procedevano verso meridione, altre due passando all'interno di scure valli, marciavano verso settentrione, trovato un guado, gettato un ponte, tutte le legioni passarono sull'altra riva.

Gioco forza Vercingetorige, per evitare il combattimento, corse a Gergovia.
Questa città, posta su un alto monte, non consente un agevole attacco.

Sotto alle sue mura, dal lato che guarda a Mezzogiorno si accampò Vercingetorige con tutte le sue truppe (non meno di 60 mila uomini).
Cesare dapprima si assicurò i rifornimenti di grano, poi mandò la cavalleria a devastare le terre degli Arverni, per rendere arduo il vettovagliamento dei Galli, infine fece costruire due campi fortificati congiunti da un doppio fossato.

In quello più grande (37 ettari) si accamparono tre legioni, l'VIII, la IX e la X, in quello più piccolo la XIII legione.

Questa seconda fortificazione si trovava su di un erto colle  interposto tra la città ed il fiume Auzon, impedendo agli abitanti e all'esercito di Vercingetorige, ad un tempo l'approvvigionamento d'acqua e il foraggiamento.

Cesare osservato che il colle era difeso da un modesto presidio, nottetempo con un colpo di mano se ne impadronì. 

 

XI – Mentre a Gergovia le cose procedevano favorevolmente, fummo informati che Litavicco, preso il comando dell'esercito Eduo, guidava l'insurrezione anti-Romana.


Litavicco

Come ricordato, Cesare nella contesa tra Coto e Convittolitave, applicando la legge degli Edui aveva assegnato a quest'ultimo, sostenuto dai Druidi, la suprema magistratura (incarico annuale), ciò fu causa di imprevisti rivolgimenti: Coto fu abbandonato da tutti, mentre molti giovani sobillati dai Druidi si schieravano apertamente contro di noi.

Il popolo degli Edui era da molti anni alleato del popolo Romano e da Cesare aveva ottenuto grandi benefici.
Il loro territorio è particolarmente ricco di frumento e di pascoli.
Dispongono di una forte cavalleria e si stima che gli uomini atti alle armi siano duecentomila.

Per tutte queste ragioni viva era la preoccupazione di Cesare, quando fu raggiunto dal nobile Eduo Eporedorige. Da questi fu informato che Litavicco, dopo aver messo morte i cittadini Romani che ignari di tutto erano al suo seguito, con i cavalieri suoi seguaci intendeva unirsi a Vercingetorige.

Senza frapporre indugio Cesare, lasciato Gaio Fabio a Gergovia con due legioni, col resto dell'esercito in un giorno arrivò nel territorio Eduo, giunto in vista della colonna degli Edui, fa avanzare la nostra cavalleria con l'ordine di non uccidere nessuno.

La colonna si arresta.
Litavicco con i suoi fedeli fugge e raggiunge Vercingetorige a Gergovia.

Mentre si ingegnava a riportare l'ordine tra gli Edui, fu raggiunto da cavalieri mandati da Fabio, i quali lo informano che i Galli erano venuti all'attacco con grandissime forze e solo a stento i nostri erano riusciti a resistere, ma molti erano stati feriti dalle innumerevoli frecce lanciate dai nemici.

Fatto riposare l'esercito per tre ore, al sorgere del sole Cesare torna a Gergovia. 

 

XII – Non appena Cesare si fu allontanato, ricominciarono i conflitti tra gli Edui e mentre per opera dei nostri amici i beni di Litavicco venivano confiscati, Convittolitave incita alla ribellione.

Volendo evitare di essere accerchiato da tutti i Galli, Cesare studia il modo di ritirarsi da Gergovia, per concentrare le legioni in uno stesso luogo, senza che ciò apparisse una fuga.

Mentre pensava alle varie alternative, ispezionando il campo minore si avvede che il colle prospiciente, che nei giorni passati era pieno all'inverosimile di guerrieri in quel momento sembrava vuoto.

Interrogati i disertori, chiamati lingue dai legionari, viene a sapere che temendo una nostra avanzata, Vercingetorige aveva ordinato di fortificare l'altro versante del colle, lasciando momentaneamente sguarnito il lato di fronte a noi.

Cesare vuole cogliere la favorevole occasione.
Messi in scena vari diversivi, manda l'VIII legione ad occupare il colle, per una strada, mentre la cavalleria avanza per altra via.

Ordina di non procedere oltre, ma i nostri impadronitisi di tre accampamenti nemici, avanzano sino alle porte della città.
Cesare fa suonare la ritirata, ma nella furia del combattimento i legionari non sentono le trombe.
Accorre uno sterminato numero di nemici.
Cesare vedendo i nostri in difficoltà manda in aiuto Tito Sestio con la XIII legione, ma solo l'arrivo della X legione, tenuta di riserva, salva i nostri dal disastro.

Caddero quarantasei centurioni.
Ben più grave sarebbe stato l'esito se Vercingetorige non avesse ricondotto i suoi soldati entro le fortificazioni.
Il giorno dopo Cesare radunate le legioni, rimproverò i soldati per la loro temerarietà e per non aver seguito gli ordini del comandante e se ammirava il loro grande animo, per avere in pochi messo in fuga i numerosissimi nemici, tanto più condannava la loro presunzione.

Dal soldato voleva tanto la disciplina, quanto il coraggio.
Dopo l'adunata schierò le legioni in ordine di battaglia, ma Vercingetorige restò rintanato dietro le fortificazioni.

Il giorno successivo mentre i Galli rifiutavano la battaglia, intercettò e mise in fuga un reparto della cavalleria nemica.
Ciò fatto attraversato l'Elaver marcia verso il territorio Eduo.

Ma neppure allora Vercingetorige si mosse. 

 

XIII – Strada facendo viene informato che Litavicco era tornato dagli Edui per rianimare la sedizione.

In tali frangenti anche i cavalieri Edui che fino ad allora avevano combattuto al nostro fianco, guidati da Eporedorige defezionano, arrivati a Noviodunum massacrano la guarnigione Romana e si impadroniscono degli ostaggi, del grano e dei bagagli che Cesare vi aveva depositato.

Successivamente raccolte quante più truppe possono, si dirigono vero il Liger per impedire il nostro passaggio, ma Cesare li precede e attraversato il fiume, si impadronisce di numerose mandrie e di campi ricchi di grano.

Rifornito abbondantemente l'esercito, marcia verso le terre degli Edui per impedire che si ricongiungano con i Senoni. 

 

XIV – Tito Labieno arrivato nei pressi di Lutetia con quattro legioni si fortificò in un'ansa della Sequana (la Senna).

Ai Senoni si unirono i Parisi, i Catuvellauni, gli Aulerci e altre tribù minori.

Messe assieme grandi forze il comando fu dato all'Aulerco Camulogeno, che, per quanto gravato dagli anni, era considerato il più adatto a condurre la guerra.

Camulogeno, visto che lungo la Sequana si stendevano grandi paludi, si accampa in quei luoghi e, per impedire ai nostri il vettovagliamento e le comunicazioni con Cesare, blocca tutte le strade.


Camulogeno

Per impedire l'accerchiamento Labieno dapprima cerca di attraversare le paludi, ma deve rinunciare. Ripercorsa la strada che aveva seguito pochi giorni prima, raggiunse Metiosiedo (Melun) una città dei Senoni posta su un'isola della Sequana. Occupata la città, passa sull'altra riva della Sequana e ridiscende verso Lutetia.

Camulogeno, ordina che Lutetia sia data alle fiamme.
Intanto si era sparsa la notizia della defezione degli Edui, si vocifera che a Cesare sia stata tagliata la strada e che per la mancanza di viveri sia fuggito nella Provincia.

I Bellovaci si preparano alla guerra.
Camulogeno nel tentativo di impedire a Labieno di raggiungere Cesare esce dalle paludi e gli si fa incontro.

Labieno fingendo di volere attraversare il fiume in tre punti riesce a dividere in tre parti le forze nemiche. Camulogeno persuaso che i Romani stiano fuggendo  cade nella trappola.

Si accende una feroce battaglia.
La VII legione mette in fuga i nemici, poi va in soccorso della XII, attaccata dallo stesso Camulogeno.

I nemici accerchiati combattono sino alla fine.

Camulogeno cade con le armi in pugno.
Quando arrivano i soccorsi degli altri Galli è troppo tardi, assaliti dai nostri si danno alla fuga in campi aperti, inseguiti dalla cavalleria sono massacrati.

Dopo la battaglia Labieno torna ad Agedincum e da qui con tutte le legioni va incontro a Cesare.

 

XV – Gli Edui, chiamati alle armi tutti i loro alleati, chiedono a Vercingetorige di recarsi presso di loro per concordare la condotta della guerra.

Vercingetorige aderisce all'invito, non immaginando che gli Edui avrebbero reclamato il comando supremo. La controversia degenera, viene deciso di convocare a Bibratte l'assemblea generale dei Galli.
Intervengono i Druidi, Vercingetorige è confermato comandante in capo.

Gli Edui subiscono l'imposizione, ma al loro interno affiorano i primi dissensi.
Non partecipano all'assemblea i Remi, i Lingoni e i Boi, che si mantengono fedeli all'alleanza con Roma.
I Treveri non intervengono perché sono minacciati dagli Ubi.

Cesare, riunite le legioni nei pressi di Andematunnum, attende le mosse di Vercingetorige.
Questi, poiché le terre degli Arverni erano state devastate e lui stesso aveva ordinato che fossero date alle fiamme le città e i villaggi dei Biturigi, fu costretto a lasciare Gergovia per non restare privo di viveri.

Disponendo di grandissime forze, oltre quindicimila cavalieri e non meno di sessantamila fanti, avrebbe potuto attaccare la Provincia, dove avevamo lasciato di presidio in tutto ventidue coorti (circa diecimila uomini), costringendoci ad accorrere in aiuto dei Provinciali.

Per tale motivo Cesare attraversate le terre dei Lingoni, scese lungo il fiume Arar, ponendosi tra i Sequani e gli Edui, pronto a raggiungere la Provincia. 

 

XVI – Ma Vercingetorige decise invece di marciare verso le terre degli Edui.

Mandò contro gli Allobrogi il fratello dell'Eduo Eporedorige con diecimila fanti e ottocento cavalieri, ma gli Allobrogi presidiato il Rodano respingono i nemici. Altre manovre contro i Volci Arecomici apparvero solo dei diversivi per indurci ad accorrere in loro aiuto.

Cesare considerata la superiorità della cavalleria Gallica, chiese ad Alberico di mandargli quanti più cavalieri poteva. Dalla Germania arrivarono circa diecimila tra cavalieri e fanti leggeri. Poiché i cavalli dei Germani erano piccoli e lenti Cesare ordinò di consegnare loro le nostre migliori cavalcature.

Vercingetorige, credendo che Cesare sarebbe andato in soccorso della Provincia, già gridava alla vittoria, portandosi con tutte le sue forze a dieci miglia da noi.
Qui giunto convocato il consiglio di guerra, disse che i Romani stavano fuggendo nella Provincia. Non si doveva perdere l'occasione favorevole. Sconfitti i Romani la libertà sarebbe stata riconquistata per sempre.

I cavalieri presero a gridare che si doveva giurare che non fosse ricevuto in casa e non potesse vedere la moglie, i figli e i genitori, chi non avesse attraversato due volte la schiera nemica.
Il giorno appresso la cavalleria Gallica avanza parte attaccandoci sui fianchi, parte bloccando la nostra avanguardia.
Cesare, divisa la nostra cavalleria in tre parti, ordina il contrattacco.

La battaglia infuria, quando Cesare vede i nostri cedere alla cavalleria nemica, fa avanzare la fanteria, frenando l'avanzata dei Galli.
Manda infine all'assalto i Germani, che prima respingono, poi inseguono i Galli fino ad un fiume facendone strage.
Vengono presi e condotti a Cesare, Coto, comandante della cavalleria e Cavarillo, comandante della fanteria.

Fuggita la cavalleria, sulla quale i Galli riponevano tutte le loro speranze, Vercingetorige si ritira entro Alesia, nella terra dei Mandubi.

 

XVII – Vercingetorige si era intrappolato da solo.

Aveva evitato ad ogni costo la battaglia, aveva messo a fuoco metà della Gallia, aveva lasciato che devastassimo la sua terra e quando ci aveva attaccato con forze soverchianti era stato sconfitto e messo in fuga.
E ora per salvarsi si era andato a rintanare ad Alesia.

La città si trova in cima ad un colle, in posizione tale da non potere essere espugnata. Alla base del colle scorrono due fiumi, l'Ose a settentrione e l'Oserain a mezzogiorno. Attorno ad Alesia come una cintura sorgono quattro colli.

Cesare, mentre Vercingetorige si fortificava sotto alle mura ad oriente della città, occupa tutti i colli vicini.
Subito dopo, distribuisce le truppe in otto accampamenti uniti da una fortificazione lunga dieci miglia, lungo il perimetro fa costruire ventitré fortezze, presidiate di notte da forti contingenti.

All'inizio dei lavori Vercingetorige lancia all'attacco la cavalleria. Cesare manda in soccorso i Germani, mentre la fanteria prende posizione davanti agli accampamenti. La carica dei Germani rompe le fila nemiche, mentre i nostri riprendono animo.

I Galli fuggono a precipizio ed intralciandosi alle porte del loro campo cadono in massa sotto l'assalto dei Germani. 

 

XVIII – Persa la battaglia, decide di mandare via i cavalieri prima che le nostre fortificazioni siano completate.

Prese tale decisione poiché le scorte di grano erano insufficienti per un così grande numero di soldati e difficilissimo l'approvvigionamento di foraggio. Inoltre la città non era sufficientemente grande per ospitare soldati, cavalli e cavalieri e Vercingetorige, poiché non si sentiva al sicuro nelle fortificazioni erette a protezione del campo accostato alle mura, aveva deciso di abbandonarle e occupare Alesia con il suo esercito.

Ordina ai partenti di correre ciascuno nel proprio stato, chiamare alle armi tutti gli uomini e tornare in massa in suo soccorso, altrimenti avrebbero lasciato alla mercé dei Romani ottantamila guerrieri scelti.
Partiti i cavalieri abbandona il campo e si ritira in città.

Ciò fatto requisisce tutto il grano disponibile, a stento bastante per trenta giorni e distribuisce il bestiame tra tutti i soldati. 

 

XIX – Informato dai disertori, Cesare si prepara ad assediare e ad essere assediato.

Fa scavare un grande fossato profondo venti piedi (circa sei mt) con le pareti verticali, fa arretrare le fortificazioni di quattrocento passi (120 mt circa) dal fossato, davanti a queste fa scavare due ulteriori fossati ciascuno profondo ed largo quindici piedi (4,5 mt), in quello interno fa deviare le acque dei due fiumi.

Nello spazio intercorrente tra il grande fossato e quello riempito d'acqua, predispone opere di difesa e trabocchetti di ogni tipo, che i legionari chiamavano cippi, gigli e stimoli, in modo da impedire ai Galli di coglierci di sorpresa.
Dietro all'ultimo fossato fa costruire un vallo di dodici piedi (3,5 mt) con grandi cervi sporgenti (rami appuntiti disposti come le corna dei cervi), ogni ottanta passi fa innalzare torri.

Terminati questi lavori, lungo un perimetro di quattordici miglia (21 km circa) fa costruire opere simili, ma rivolte in opposta direzione, per prevenire gli attacchi dei Galli venuti in soccorso di Vercingetorige.

Mentre i nostri stanno al lavoro Vercingetorige ordina diverse sortite, ma respinto con perdite deve rinunciare ai suoi tentativi.

Ultimate tutte le opere Cesare ordina di fare l'incetta di grano e di foraggio per trenta giorni. 

 

XX – Mentre ciò avveniva ad Alesia, i Druidi convocano a consiglio i capi Galli.

Si presentano gli Edui con i loro clienti, gli Ambarri e i Segusiavi; gli Arverni con i Cadurci, i Vellavi e i Gabali; i Sequani; i Senoni; i Biturigi; i Santoni; i Ruteni; i Carnuti; i Lexovii; i Pittoni; i Turoni; i Parisi; gli Suessoni; gli Ambiani; gli Eburovici; i Cenomani; i Veliocassi.

Dalla Gallia Belgica arrivano i Nervi; i Morini; gli Atrebati; i Bellovaci. Arrivano tutti i popoli Aremorici e persino gli Helvetii.

A tutti viene imposto di fornire un preciso numero di armati e di provvedere ai rifornimenti del proprio contingente.
Gli unici che respingono l'ordine sono i Bellovaci, dicendo che quando vorranno condurranno la guerra da soli senza prendere ordini da nessuno, infine per le preghiere di Commio concedono di mandare duemila uomini.

L'Atrebate Commio in Britannia era stato di valido aiuto a Cesare, ricambiato con grandi benefici per lui stesso e per il suo popolo, ma neppure lui si era sottratto al richiamo dei Druidi.

All'assemblea non partecipano i popoli dell'Aquitania, i Remi, i Boi, gli Atuatuci e i Treveri.

Raccolti circa duecentocinquantamila fanti e ottomila cavalieri, viene affidato il comando a Commio, agli Edui Viridomaro ed Eporedorige, all'Arverno Vercassivellauno, cugino di Vercingetorige.  


Commio

Pieni di entusiasmo, certi della vittoria partono alla volta di Alesia. 

 

XXI – Intanto quelli che stavano ad Alesia, ignari di tutto, non arrivando i soccorsi cominciano a disperare, mentre la fame giorno dopo giorno diventa sempre più insopportabile.

Riunito il consiglio di guerra si scontrano due opposte proposte, l’una sostiene doversi negoziare la resa, l’altra chiede di fare una sortita, riponendo nel valore ogni speranza.

Prevale una terza proposta, quella di consegnare ai Romani gli abitanti, in modo che il poco cibo rimasto consenta ai guerrieri di resistere il più a lungo possibile.

Cacciata dalla propria città, una misera colonna affamata di vecchi, donne, fanciulli, si incammina verso il nostro vallo protendendo le braccia, offrendosi come schiavi pur di essere sfamati.

Ma Cesare, disposte delle guardie sul vallo, proibisce di accoglierli.

Qualcuno dei nostri, vinto dalla pietà, dall’alto del vallo getta loro dei pani.
Per disputarsi pochi pani quei miseri si azzuffano.

Infine perduta ogni speranza, desolati tornano sui propri passi.

Le porte della città si chiudono dietro di loro come una tomba.

 

XXII – Gli abitanti di Alesia, sottoposti ad ogni privazione, perduta ogni speranza, maledivano il giorno che Vercingetorige aveva cercato rifugio presso di loro, quand'ecco vedono arrivare Commio con tutta la massa dei Galli.

Occupato un colle a poco più di mille passi(1.500 mt) dalle nostre fortificazioni, il suo campo poteva essere visto da Alesia.
E poteva vedersi lo sterminato numero di guerrieri che era arrivato in soccorso di Vercingetorige.
Gli assediati lanciano grida di gioia e rendono grazie agli dei.

Vercingetorige fa uscire le sue truppe e si accampa davanti alla città.
Il giorno successivo ricoperto con fascine il fossato grande, tenta l’attacco.

Prontamente anche Commio lancia l'attacco.
Cesare ordina che la cavalleria esca dagli accampamenti ed apra il combattimento.
Si combatte da mezzogiorno fino al tramonto con esito incerto, quando Cesare ordina ai Germani di caricare le truppe di Commio.
I Galli sono respinti e messi in fuga, sono inseguiti sino al campo senza dare loro il tempo di riorganizzarsi, i loro arcieri sono circondati e uccisi.

Vista la ritirata di Commio, ripiega anche Vercingetorige.

 

XXIII – Come detto precedentemente, avevamo fatto scorte di grano e foraggio per trenta giorni abbondanti e, fino a quando non era arrivato Commio, avevamo continuato a rifornirci, quindi potevamo resistere nelle nostre posizioni molto a lungo.

Ma le riserve di viveri dei Galli di Commio bastavano per pochi giorni.
Infatti molti di loro venendo da lontano avevano consumato nel viaggio le provviste e attraversando i territori degli Edui e dei Biturigi, che gli stessi Galli avevano devastato, o quello degli Arverni, devastato da noi, non avevano potuto reintegrare le provviste, inoltre noi avevamo rastrellato il territorio dei Mandubi, prendendo tutto ciò che poteva essere utile.

Ma peggiore era la situazione di Vercingetorige dentro Alesia, ormai ridotto agli estremi.
Per tutte queste ragioni i Galli erano forzati ad attaccarci al più presto.

Fatto passare un giorno dall'ultimo combattimento, a metà della notte Commio ordina l’attacco, i Galli avanzano contro le fortificazioni di pianura, portando con sé le fascine per superare il fossato, gli arcieri e i frombolieri tentano di scalzare i nostri dal vallo.

Udite le grida anche Vercingetorige dà il segnale di attacco.
I nostri messe in funzione le macchine da guerra bersagliano i Galli con pietre da una libra (oltre 300 gr) e proiettili di piombo.

Marco Antonio e Gaio Trebonio ai quali Cesare aveva delegato la difesa di quella parte delle fortificazioni, appena vedono in qualche punto i nostri in difficoltà, mandano truppe in aiuto.

I Galli superato il primo fossato avanzano impetuosamente, ma cadono nei trabocchetti, quelli che riescono ad avanzare sono trafitti dai giavellotti murali (più pesanti e lunghi dei normali giavellotti) scagliati dal vallo e dalle torri.
All'alba dopo aver subito numerose perdite e senza essere riuscito a sfondare in nessun punto, Commio ritira le truppe.

Gli uomini di Vercingetorige appesantiti dal materiale portato per riempire il primi fossati, arrivano quando Commio ha già ordinato la ritirata.

Pertanto rinunciano all'avanzata e rientrano in città.

 

XXIV – Falliti i tentativi di un attacco in massa, Commio decide di cambiare tattica: consultati uomini pratici dei luoghi, viene informato che a settentrione, per la sua ampiezza un colle non aveva potuto essere incluso nelle nostre fortificazioni, che erano state erette lungo il suo fianco, leggermente in discesa in terreno sfavorevole; per tale ragione Cesare aveva dislocato a difesa due legioni, comandate da Gaio Antistio Regino e Gaio Caninio Rebilo.

Commio mandati esploratori ad ispezionare i luoghi, sceglie sessantamila guerrieri e ne affida il comando al cugino di Vercingetorige Vercassivellauno.
Stabilito che l'attacco sia portato a mezzogiorno, al primo turno di guardia (dalle 18 alle 21) i Galli escono dal campo, aggirano il colle e dopo essersi riposati, quando ormai mezzogiorno è prossimo, avanzano verso le nostre fortificazioni sopra descritte.

Contemporaneamente la cavalleria seguita dal resto delle truppe, invasa la pianura, avanza contro le altre fortificazioni.
È arrivato il momento dello scontro supremo.

Vercingetorige vedendo dall'alto di Alesia l'avanzata di Commio, esce dalla città, attraversato il fiume, avanza preparandosi a superare i nostri fossati.

Si combatte in ogni luogo.

Cesare, presa posizione in un luogo sopraelevato, osserva gli scontri dovunque si svolgono.
La situazione di Regino e Rebilo si fa critica, poiché i Galli a forza di gettare materiali hanno seppellito i nostri trabocchetti e rilevando con truppe fresche quelle stanche, continuano ad avanzare.
Cesare ordina a Labieno di andare in soccorso con sei coorti.

Lui stesso va dagli altri combattenti, li incita a non farsi vincere dalla stanchezza, da quel giorno, da quell'ora, dipende il frutto di tutte le precedenti battaglie.
Vercingetorige non riuscendo a sfondare le fortificazioni di pianura, avanza con tutte le sue forze contro quelle sulle alture.

Superati i fossati, attacca il vallo, con un nugolo di proiettili scaccia i nostri dalle torri.
Cesare manda in aiuto dei pericolanti, prima Giunio Bruto con alcune coorti, poi Gaio Fabio con altre, infine, facendosi il combattimento sempre più incerto, porta lui stesso in soccorso truppe fresche.
Vercingetorige è ributtato giù dal vallo.  

Respinti i nemici Cesare, prese quattro coorti dalla più vicina fortezza, accorre con parte della cavalleria in soccorso di Labieno, ordina all'altra parte di fare il giro delle fortificazioni esterne per prendere Vercassivellauno alle spalle.
Labieno poiché incombe Vercassivellauno chiama a raccolta trentanove coorti (circa 18 mila uomini) prese da ogni dove e avverte Cesare del pericolo incombente.

Cesare si affretta. 

Quando dal colore del suo mantello, che portava in battaglia come insegna, si sa del suo arrivo e si vedono le coorti e la cavalleria che lo seguono, i Galli lanciano alte grida, rinfocolano il combattimento.

Rispondono i nostri dal vallo con un grido tremendo, abbandonati i giavellotti sguainano le spade.
Improvvisa alle spalle dei Galli arriva la cavalleria.

Avanzano le coorti.

I nemici volgono le terga.

Sui fuggitivi si avventa la cavalleria.

Avviene una immensa strage.

Vercassivellauno viene preso vivo mentre fugge.


Vercassivellauno


Settantaquattro insegne nemiche sono portate a Cesare.

Vedendo la rotta di Commio, persa ogni speranza, Vercingetorige si ritira in città.

I Galli in fuga abbandonano gli accampamenti.
La cavalleria si lancia al loro inseguimento, verso la mezzanotte raggiunge la retroguardia, un gran numero di nemici è preso prigioniero.

Gli altri si disperdono, ognuno fuggendo verso la propria terra.

 

XXV – Il giorno dopo da Alesia vengono inviati a Cesare ambasciatori, gli chiedono se devono consegnare Vercingetorige vivo o morto.

Cesare ordina di consegnare le armi e di condurre i capi.

Prende posto davanti al campo, dove vengono condotti i capi.

Si gettano le armi.

Vercingetorige si consegna.


Vercingetorige

 

 

XXVI – Dalla gran massa di prigionieri Cesare separa gli Edui e gli Arverni, per riportare quei popoli nell'alleanza con Roma.

Distribuisce tutti gli altri uno a testa ai legionari.

Compiute queste cose, parte per le terre degli Edui, dove riceve la resa dello stato.
Viene raggiunto dagli ambasciatori degli Arverni che promettono di fare tutto ciò che ordinerà.

Cesare impone un gran numero di ostaggi, tra i quali tutti i Druidi.
Poiché i suoi ordini sono puntualmente osservati, restituisce agli Edui e agli Arverni ventimila prigionieri.

Per svernare disloca le legioni in questo modo: tra i Sequani Labieno con due legioni e la cavalleria, Gaio Fabio e Minucio Basilo, con due legioni tra i Remi per proteggerli da possibili rappresaglie dei Bellovaci, con una legione ciascuno Antistio Regino tra gli Ambiani, Tito Sestio tra i Biturigi e Caninio Rebilo tra i Ruteni.

Manda con due legioni Quinto Tullio Cicerone e Publio Sulpicio lungo l'Arar, in territorio Eduo, per la raccolta del grano.
Decide di svernare a Bibracte.

A Roma è decretata una festa di ringraziamento di venti giorni.

 

Libro I Libro II
Libro III Libro IV
Libro V Libro VI
Libro VII Libro IX
Libro X Libro XI
Libro XII Libro XIII
Libro XIV

 

 

back

Vai al sito dell'Università di Roma Tor Vergata