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BOOK X - LA GUERRA CIVILE: CESARE IN ITALIA

I –Mentre Cesare in Gallia era strenuamente impegnato dalla sollevazione di Vercingetorige (anno 52), a Roma la situazione attraversava una fase di grande instabilità.

Morti Marco Licinio Crasso (nel 53) e la figlia Giulia (sempre nel 53), moglie di Pompeo, quest'ultimo lusingato dagli Ottimat e invidioso della gloria di Cesare, cominciò ad assumere una posizione equidistante tra gli aristocratici e lo stesso Cesare.

Tempo addietro temendo Clodio (il tribuno della plebe di parte Cesariana) lasciò che Milone, (il braccio armato degli Ottimati) con la sua banda armata lo attaccasse e lo uccidesse (anno 52).

Pompeo Clodio

Poi, forse intimorito dalla reazione della Plebe Romana (il corpo di Clodio portato dalla plebe nel Foro fu arso su una enorme pira, mentre un tempio dei senatori veniva dato alle fiamme), acconsentì che lo stesso Milone fosse processato per omicidio e condannato a morte, pena alla quale Milone si sottrasse andando in esilio a Massilia.

In quello stesso anno sposò in quinte nozze Cornelia Metella, figlia di Cecilio Metello Pio Scipione, uno dei più ostinati nemici di Cesare.


Cecilio Metello Pio Scipione

Gli Ottimati, indifferenti al bene della Repubblica, dovettero obtorto collo rallegrarsi per la vittoria di Alesia, ma in pari tempo gioirono per la ribellione di Lutterio, che tratteneva Cesare in Gallia (anno 51) impedendogli di tornare subito nella Cisalpina, dove, quando finalmente giunse, fu accolto da tutti i Cesariani convenuti da Roma.

Approfittando della sua assenza gli Ottimati, con il tacito consenso di Pompeo, fecero eleggere console come collega di Pompeo suo suocero Metello Scipione (anno 52).

Per l'anno successivo presentarono le proprie candidature Marco Porcio Catone, per gli Ottimati, Marco Claudio Marcello, sostenuto da Pompeo e Servio Sulpicio Galba, sostenuto da Cesare.

Con grande scorno degli ottimati Catone non fu eletto.

 

II – Alla fine dell'inverno (anno 50), visto che la Gallia era pacificata, contrariamente al suo solito Cesare partì per l'Italia.

Dapprima passò per la Provincia Narbonense, dove volle ringraziare tutti coloro che avevano appoggiato l'elezione di Marco Antonio ad augure, superando l'opposizione degli Ottimati, che intanto avevano fatto eleggere console Gaio Marcello Minore, cugino di Marco Marcello console l'anno precedente, mentre l'altro console Lucio Emilio Lepido Paolo, che pensavano fosse amico di Pompeo, si rivelò Cesariano, quindi fu accusato di essersi venduto.

L’arrivo di Cesare nella Cisalpina fu salutato da tutti i municipi e da tutte le colonie con manifestazioni di grande entusiasmo.
In vista delle future elezioni per il consolato, il sostegno della Cisalpina, e delle province Italiane appariva certo.
Tanto più in quanto a Roma il console Marcello aveva fatto frustare un cittadino di Como amico di Cesare.

Questo atto oltraggioso, ingiustificabile e illegittimo, ben presto fu reso noto, con il risultato di confermare nei provinciali la convinzione che solo Cesare avrebbe potuto tenere a bada la tracotante impunità degli Ottimati.
Ripassato nella Provincia Narbonense, tornò celermente a Nemetacum da qui portò tutte le legioni ai confini dei Treveri, dove passò in rassegna l'esercito.

Di seguito dislocò Gaio Trebonio con quattro legioni tra i Belgi, Gaio Fabio con altre quattro tra gli Edui e pose a capo della Provincia Narbonense Tito Labieno.

 

III – Gli Ottimati, temendo che il ritorno a Roma di Cesare avrebbe significato la loro sconfitta, notte e giorno ordivano nuove trame.

Dapprima il console Marcello aveva tentato di farsi assegnare il proconsolato della Gallia al posto di Cesare, ma la proposta fu bocciata dal Senato. Poi con la scusa della guerra ai Parti gli Ottimati fecero approvare un Senato Consulto (una legge senatoriale) perché Pompeo e Cesare vi mandassero una legione ciascuno.

Ma la legione di Pompeo era quella che Cesare aveva arruolato nella sua provincia, quindi gli venivano sottratte due legioni.
Cesare tuttavia mandò a Pompeo la legione nominalmente sua e dalla Gallia Cisalpina mandò a Roma la XV legione, sostituita sul posto con la XIII.

Montando ormai la congiura il tribuno della plebe Gaio Curione, di parte Cesariana, propose che, se si temeva Cesare e le sue legioni, allora di votasse un Senato Consulto che imponesse a Cesare e a Pompeo, le cui legioni stavano alle porte di Roma, di congedare gli eserciti.

Il Senato a grande maggioranza (370 voti contro 22) approvò la proposta di Curione, ma il console Marcello fece annullare la votazione.

Intanto gli Ottimati presero contatto con Tito Labieno, perché abbandonasse Cesare e passasse dalla loro parte.
Labieno si era dimostrato un comandante abile ed avveduto, ma per la sua arroganza, si era fatto tra i Galli e fra gli stessi legati di Cesare molti nemici, in particolare Marco Antonio, Quinto Pedio, Lucio Munazio Planco e Caninio Rebilo.

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Marco Antonio Quinto Pedio Lucio Munazio Planco Caninio Rebilo

Per tali ragioni era stato mandato da Cesare a presiedere la Provincia, allontanandolo dalla Gallia tanto faticosamente pacificata.

 

IV – Mentre Pompeo gradualmente si distaccava da Cesare, gli Ottimati, guidati dal rancore di Catone verso Cesare, dall'ottuso Metello Scipione e da altri dello stesso stampo, tentarono con ogni pretesto e in violazione delle leggi approvate dal Senato di privare Cesare dell'esercito, non appena fosse scaduto il suo proconsolato.


Catone

Il loro disegno era palese, far rientrare indifeso Cesare a Roma, tenere a bada la plebe con la minaccia delle legioni di Pompeo, acquartierate alle porte della città, poi attraverso false accuse sottoporre a giudizio Cesare, impedendogli in tal modo di accedere a qualunque carica e magari costringerlo all'esilio.

Per dare seguito ai loro propositi furono costretti a forzare la mano, impedendo ai tribuni della plebe Curione prima, poi Marco Antonio e Quinto Cassio Longino (negli anni 50 e 49) l'esercizio di quei diritti che lo stesso Silla non aveva messo in discussione e in particolare il diritto di veto.

Marco Antonio e Gaio Curione, costretti a fuggire da Roma, si rifugiarono a Ravenna presso Cesare (anno 49).

Intanto Pompeo si atteggiò a difensore della legge, quella legge che gli Ottimati e prima di tutti suo suocero Metello Scipione avevano più volte oltraggiato. E con le sue legioni ad un tempo rassicurava i timorosi e minacciava i Cesariani.
La posizione di Pompeo, apparentemente forte, era invece quella di un uomo divenuto lo strumento dei nemici di Cesare, contro gli interessi della Repubblica, contro i suoi stessi interessi, tradendo l'amicizia che per anni lo aveva legato a Cesare.

Nel tentativo di fermare la frana che avrebbe travolto la Repubblica, Cesare chiese più volte di incontrare Pompeo, era convinto di avere argomenti sufficienti per fargli ritrovare la ragione Allo scopo gli mandò quale suo personale intermediario il legato Gaio Caninio Rebilo. 

Invano.

Pompeo mostrando tutta la sua insicurezza, rifiutò di incontrare Cesare.
Questi allora rimandò a Roma Curione con una sua lettera al Senato, affidando le scarse speranze di un accordo alla sua ben nota eloquenza.
Ma a Curione fu impedito di parlare.

Viceversa in Senato, dal quale erano fuggiti, od erano stati tenuti lontani i Cesariani, mentre molti altri erano intimoriti, gli Ottimati fecero approvare un Senato Consulto Ultimo (ultimatum del 7 gennaio 49) che ordinava a Cesare di consegnare le legioni se non voleva essere dichiarato nemico della Repubblica e in pari tempo decretarono che Cesare fosse richiamato a Roma ed al suo posto nominarono proconsole per le Gallie uno dei suoi più accaniti nemici, Lucio Domizio Enobarbo.


Lucio Domizio Enobarbo

 

V – Con questo atto gli Ottimati dichiaravano guerra a Cesare, fiduciosi nelle roboanti parole di Pompeo.

Questi per incoraggiare gli incerti ebbe a dire che gli bastava battere un piede per terra perché l'Italia si riempisse di legioni.

Letto il Senato Consulto Ultimo portato da Curione, Cesare riunì quello che era ormai un consiglio di guerra. Erano presenti Marco Antonio, Gaio Scribonio Curione, Lucio Munazio Planco, Quinto Pedio, Gaio Caninio Rebilo ed io stesso.


Gaio Scribonio Curione

Unanimemente consigliammo a Cesare di respingere l'ordine del Senato. Eravamo tuttavia incerti su cosa si dovesse fare in seguito.

Cesare ricordò che aveva tentato, con Pompeo e con il Senato, tutte le strade per arrivare ad un accordo, a questo punto restavano solo due opzioni o la resa, o la guerra civile. Sperava peraltro che sotto la minaccia delle armi il fronte nemico si sfaldasse.

Il giorno successivo decise di richiamare da Matisco (Macon) l'VIII e la XII legione, in pari tempo ordinò che venissero arruolati quali ausiliari fanti dall'Aquitania, arcieri Ruteni e un gran numero di guerrieri Germani.
Il dado era tratto (11 gennaio 49 alea iacta est).  

Lo stesso giorno alla testa della XIII legione parte per Rimini (quindi lascia la Cisalpina ed entra in Italia)

 

VI – A Roma intanto la situazione precipita nella totale confusione.

Spinti dalla loro avidità gli Ottimati si contendono le province. Al suocero di Pompeo, Metello Scipione, viene assegnata la Siria, a Lucio Domizio Enobarbo la Gallia. Tra veti incrociati si assegnano le altre province e non si attende neppure l'approvazione delle assemblee popolari.

Entrano in carica i nuovi consoli, Lucio Cornelio Lentulo Crure e Gaio Claudio Marcello Maggiore, il cui fratello era stato console due anni prima ed il cugino l'anno precedente. Lentulo carico di debiti sperava con il consolato di rimettersi in sesto.

L'avanzata di Cesare getta gli Ottimati nel panico.

Pompeo non ha il tempo di richiamare dalla Spagna le legioni comandate da Petreio ed Afranio (entrambi schierati con gli Ottimati), pertanto corre a Capua dove sperava di arruolare i suoi antichi veterani, ai quali, grazie a Cesare, erano state assegnate le terre dell'Ager Capuano.

Petreio Afranio

Cesare intanto, occupate Pesaro, Fano e Ancona, manda Marco Antonio ad occupare Arezzo con cinque coorti, saputo poi che il Pompeiano Lucio Minucio Termo occupava Gubbio con cinque coorti, ma che gli abitanti erano a tutti a lui favorevoli, vi manda Curione.

Termo diffidando della popolazione si ritira precipitosamente, ma lungo la strada viene abbandonato dai soldati che tornano alle proprie case.

Cesare sicuro dell'appoggio dei municipi marcia con la XIII legione verso Osimo, dove al comando di un presidio si trovava Publio Attio Varo.


Publio Attio Varo

Alla notizia del suo arrivo i maggiorenti della città dicono a Varo che non possono garantire la sua sicurezza.
Varo si ritira dalla città, ma mentre è in marcia viene attaccato dalle avanguardie di Cesare, è abbandonato dai suoi soldati, parte dei quali torna a casa, parte si unisce a Cesare. Viene catturato il centurione primipilo Lucio Pupio, veterano di Pompeo, ma Cesare lo libera, loda i soldati di Varo, ringrazia gli Osimati e promette di non dimenticare ciò che hanno fatto.

Quando a Roma si viene a conoscenza di tali fatti la città è invasa da tanto terrore che Lentulo mentre si impadroniva del tesoro pubblico per consegnarlo a Pompeo, preso dal panico fugge dalla città senza la refurtiva, con lui fuggono l'altro console e buona parte dei senatori nemici di Cesare e non si fermano che a Capua.
Domizio Enobarbo va a Corfinio dove raccoglie venti coorti (circa 9.000 uomini).

Cesare lasciata Osimo attraversa l'intero Piceno ovunque accolto con grande entusiasmo, anche a Cingoli, città natale di Labieno è rifornito di tutto il necessario.
Chiede soldati, gli vengono dati.

Raggiunto dalla XII legione marcia con questa e la XIII alla volta di Ascoli Piceno che era occupata con dieci coorti da Publio Cornelio Lentulo Spintere che grazie a Cesare aveva ottenuto il consolato (nel 57).


Lentulo Spintere

Alla notizia dell'arrivo di Cesare, fugge da Ascoli, ma è abbandonato dalla maggior parte dei suoi, lungo la strada incontra l'inviato di Pompeo Vibullio Rufo, che prende il comando, poi riunite tutte le forze che può (13 coorti) raggiunge a tappe forzate Domizio Enobarbo a Corfinio. 

 

VII – Cesare fatti i rifornimenti marcia verso Corfinio, la sua avanguardia fa a tempo ad impedire che i soldati di Domizio taglino il ponte sul fiume (il Sagittario). Ricacciate in cittàle coorti di Domizio, i legionari si accampano alle porte di Corfinio.

Da Sulmona Cesare viene informato che gli abitanti vorrebbero schierarsi al suo fianco, ma ne sono impediti dal senatore Quinto Lucrezio Vespillone e da Attio Peligno che presidiano la città con sette coorti. Pertanto vi manda Marco Antonio con cinque coorti della XIII legione.

I cittadini appena vedono le nostre insegne spalancano le porte della città e assieme ai soldati vanno festanti incontro ad Antonio.

Lucrezio e Attio tentano la fuga calandosi dalle mura, vengono catturati.
Attio chiede di essere condotto da Cesare, che lo lascia andare libero.
Antonio, che sapeva farsi benvolere dalla truppa torna da Cesare aggiungendo alle sue coorti le sette di Lucrezio e Attio, che vengono accolte tra le nostre.

Mentre accadevano queste cose Domizio Enobarbo manda una lettera a Pompeo dicendo che se fosse venuto i loro due eserciti uniti avrebbero potuto impedire a Cesare il vettovagliamento. Altrimenti lui stesso si sarebbe trovato in pericolo e con lui oltre trenta coorti e un gran numero di senatori e cavalieri Romani.

Nell'attesa incoraggia i suoi e promette di distribuire ai soldati, ai centurioni ed ai richiamati quelle estesissime terre di sua proprietà delle quali si era impadronito durante la dittatura di Silla.

Tre giorni dopo Cesare viene raggiunto dall'VIII legione, da ventidue coorti formate dalla recente leva in Gallia e da trecento cavalieri mandati da Diulfione re del Norico (all'incirca l'attuale Austria).
Nei giorni seguenti cominciammo a circonvallare Corfinio.

Prima che avessimo terminato le opere, giunse a Domizio la risposta di Pompeo, che lo accusava di essersi recato a Corfinio di testa sua e ora non poteva chiedergli di mettere in pericolo le sue forze, dunque era meglio che abbandonasse Corfinio e lo raggiungesse con tutte le sue truppe.

 

VIII – Domizio ormai bloccato a Corfinio, nascose ai suoi la verità, anzi disse che presto sarebbe arrivato Pompeo in loro aiuto, intanto mentre esortava i soldati a non perdersi d'animo, preparava la propria fuga.

La sua intenzione trapela, nell'accampamento si accendono zuffe furiose, fino a quando tutti vengono a conoscenza della progettata fuga di Domizio, che viene preso prigioniero.

Alla quarta vigilia (dalle 3 alle 6 di mattina) Lentulo Spintere, affacciatosi dalle mura, chiede di conferire con Cesare. Giunto in sua presenza, chiede perdono per aver tradito la loro antica amicizia e i tanti benefici ottenuti grazie a Cesare (la provincia di Spagna ed il consolato nel 57).

Cesare lo interrompe dicendo che non era uscito dalla sua provincia per fare del male, ma per restituire la libertà a se stesso e al popolo Romano oppresso dalla prepotenza di pochi. Lentulo rassicurato dalle sue parole chiede di rientrare a Corfinio, per impedire che altri presi dal panico prendano decisioni estreme.

Appena si fa giorno Cesare fa condurre presso di sé tutti i senatori, tra i quali Lucio Domizio Enobarbo, i figli dei Senatori, i tribuni militari ed i cavalieri Romani, li protegge dagli insulti dei soldati, li accusa di ingratitudine, ma infine li manda liberi.

Fa prestare giuramento ai soldati di Domizio che vogliono passare dalla sua parte e dopo essersi fermato a Corfinio per solo sette giorni, parte per l'Apulia, dove arriva attraversando le terre dei Marrucini, dei Frentani e dei Larinati (l'Abruzzo).

 

IX – Pompeo, venuto a sapere del disastro di Corfinio e della perdita di trenta coorti, muove da Lucera per Canosa e da lì per Brindisi.

Mentre noi avanziamo, da Alba Fucens fugge il pretore Lucio Manlio Torquato con sei coorti e da Terracina con tre coorti Publio Rutilio Lupo anche lui pretore, ma queste truppe, vista da lontano la cavalleria di Cesare comandata da Vibio Curio, disertano e passano a Curio con le loro insegne.

La stessa cosa si ripeté nei giorni successivi, quando fu catturato Numerio Magio, uno dei prefetti di Pompeo. Cesare colse l'occasione per mandare Numerio Magio da Pompeo con l'incarico di dirgli che era nell'interesse della Repubblica e nel loro stesso interesse incontrarsi di persona e trovare le condizioni di un accordo, ciò che non poteva essere fatto attraverso terze persone.

Affidato questo incarico arriva a Brindisi con sei legioni, tre di veterani, l'VIII, la XII, la XIII, le altre formate con le nuove leve e completate durante l'avanzata.
Manda in Sicilia le trenta coorti già di Domizio.

A Brindisi veniamo a sapere che i consoli Marcello e Lentulo Crure si erano imbarcati per Durazzo con gran parte dell'esercito, mentre Pompeo è rimasto con venti coorti.
Non era chiaro se Pompeo fosse rimasto per mancanza di navi, o se intendesse tenere la città e il porto per controllare il mare Adriatico.

In entrambi i casi la cosa migliore da fare era quella di impedire a Pompeo la navigazione.
Ma per bloccare il porto sarebbe stato necessario disporre di numerose navi quelle navi che non avevamo. Tentiamo allora di costruire opere dalle quali fosse possibile bombardare con le macchine da guerra le navi che volessero entrare od uscire dal porto, ma mentre eravamo impegnati in questi lavori, tornano da Durazzo le navi sulle quali erano partiti Marcello e Lentulo.

Anche Pompeo si imbarca in tutta fretta.

Non è possibile fermarlo. 

 

X – Con la fuga di Pompeo e degli Ottimati dall’Italia si chiuse la prima fase della guerra civile, con un esito imprevisto e difficilmente prevedibile.

Eravamo arrivati a Rimini con la sola XIII legione, mentre i nostri nemici disponevano di oltre otto legioni, ma queste forze più che un vero esercito erano delle milizie personali arruolate dai più potenti al solo scopo di tutelare i propri interessi.

Domizio Enobarbo, di tutti il più ricco, si era accaparrato trenta coorti con le quali intendeva difendere le sue sterminate terre e come lui Minucio Termo, Lentulo Spintere e tanti altri, presidiavano con coorti più o meno numerose i propri possedimenti.

Molti senatori erano fuggiti a Capua per gli stessi motivi, mentre Pompeo, senza curarsi degli altri, aveva raggiunto a Lucera le proprie legioni.
L’insaziabile avidità degli Ottimati fu la nostra migliore alleata, come pure il coraggio e la rapidità di Cesare che in poco più di un mese prese Osimo, Fermo, Ancona, Pesaro, Fano, Arezzo, Gubbio, Camerino, Ascoli Piceno, Corfinio e Sulmona, privando gli Ottimati di circa cinquanta coorti (poiché ogni legione era formata da 10 coorti, gli Ottimati persero l'equivalente di 5 legioni).

Fummo anche favoriti dalla impotenza di Pompeo, incapace di assoggettare ad un logico piano di guerra quella massa di litigiosi e incorreggibili bricconi, ai quali aveva legato il proprio destino, tradendo l’amicizia di Cesare.

Accadde così che, dopo aver perso per strada circa cinque legioni, a Pompeo non restò altra via se non quella della fuga oltremare.

 

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