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BOOK VI - RITORNO IN BRITANNIA

I – A Roma furono eletti consoli per l'anno successivo (il 54) Lucio Domizio Enobarbo (barba rossa) e Appio Claudio Pulcro , il primo sostenuto dagli Ottimati il secondo, fratello del tribuno della plebe Clodio, dai Populares.

Lucio Domizio Enobarbo Appio Claudio Pulcro

Crasso intanto si preparava a partire per la Siria, mentre Pompeo, pur avendo ottenuto il proconsolato in Spagna, restava a Roma.

Cesare, visto che la maggior parte dei Britanni, non aveva rispettato i patti, stimò necessaria una seconda spedizione oltremare, risultando chiaro che non volevano la pace con il popolo Romano, ma intendevano continuare a mandare aiuti ai Galli. Come detto i Druidi sono originari della Britannia, sembrava dunque più che plausibile pensare che le decisioni degli isolani fossero guidate dagli stessi Druidi, che nel nostro tempo si trovano su entrambi i lati del mare.

Per le ragioni suddette Cesare, prima di lasciare la Gallia per rientrare nella Cisalpina a presiedere le sessioni di giustizia, ordinò che fosse costruito il maggior numero possibile di navi, con un pescaggio minore di quello al quale siamo abituati, per poter essere manovrate facilmente con il succedersi delle maree e per essere facilmente tratte in secco. Inoltre ordinò che le navi da trasporto fossero più larghe del solito per trasportare carichi e cavalli.

 

II – Terminate le sessioni di giustizia partì per Aquileia, avendo saputo che un popolo della stirpe dei Dalmati, i Pirusti, devastava i territori ai confini con la provincia.

I Pirusti, appena vennero a sapere che Cesare stava ordinando la leva, mandarono ambasciatori scusandosi per l'accaduto e dichiarandosi pronti a rifondere i danni. Cesare ordinò loro ostaggi, aggiungendo che se non gli fossero stai consegnati nei termini richiesti avrebbe senz'altro invaso le loro terre.

Gli ostaggi furono consegnati fino all'ultimo.

Tornato in Gallia ebbe motivo di lodare i legionari che in poco tempo avevano allestito seicento navi da trasporto e trenta navi da guerra, che nei giorni successivi avrebbero potuto prendere il mare.

Disposto che tutte le navi si adunassero a Porto Itio, poiché tra i Treveri si fronteggiavano una fazione filo-Romana ed una anti-Romana, quella comandata da Cingetorige e questa da Induziomaro, partì alla loro volta.


Induziomaro

Subito Cingetorige andò incontro a Cesare mettendosi a sua disposizione, mentre Induziomaro preparava la guerra, nascondendo donne e bambini nella foresta delle Ardenne.

Ma all'arrivo di Cesare gli altri capi dei Treveri lo abbandonarono, così anche Induziomaro si piegò, consegnando gli ostaggi richiesti, duecento, tra i quali il figlio e i parenti.

Non volendo passare l'estate tra i Treveri, mentre tutto era pronto per la spedizione in Britannia, Cesare si dichiarò soddisfatto e si recò a Porto Itio.

 

III – Quando tutto fu pronto per la partenza arrivò, convocata da tutta la Gallia, la cavalleria con i propri capi.

Di questi Cesare lasciò in Gallia solo quei pochi che avevano dato prova di fedeltà, gli altri li portò con sé poiché era stato informato dai nostri amici che i Druidi intendevano approfittare della sua assenza per chiamare all'insurrezione proprio quei capi che Cesare, anticipandone le mosse, intendeva portare con sé.

Tra questi il più autorevole e il più pericoloso era l'Eduo Dumnorige, che in passato era scampato ad una giusta punizione grazie all'amicizia che legava Cesare al suo fratello maggiore Diviziaco.


Dumnorige

Ma ormai, per la declinante salute, Diviziaco aveva lasciato la vita pubblica e Dumnorige, non più tenuto a freno, ordiva ogni tipo di trama, forse consigliato dai Druidi.

In breve, costui cercava con ogni scusa di non imbarcarsi: ora diceva che temeva il mare, ora che i doveri religiosi gli imponevano di restare presso il suo popolo; ma non ottenendo nessun risultato, tentò di portare dalla sua parte gli altri capi Galli, dicendo che Cesare li voleva portare in Britannia, per assassinarli tutti lontano dagli occhi delle loro genti.

Queste cose furono riferite a Cesare.
Quando arrivò il momento della partenza, alquanto ritardata a causa dei venti sfavorevoli, Dumnorige approfittando della confusione fuggì con i cavalieri Edui.

Sospesa la partenza Cesare lo fece inseguire da gran parte della cavalleria con l'ordine di riportalo indietro e se resisteva di ucciderlo.

Dumnorige vistosi scoperto, rifiutò di tornare ed appellandosi alla lealtà dei suoi tentò di resistere.
Secondo gli ordini ricevuti fu ucciso.

I cavalieri Edui tornarono tutti da Cesare.

 

IV – Poiché la situazione in Gallia non sembrava del tutto tranquilla, Cesare ordinò a Labieno di presidiare Porto Itio con tre legioni, sorvegliando in pari tempo le mosse dei Galli e all'occorrenza prendendo le opportune iniziative.

Salpate le ancore partimmo per la Britannia, con cinque legioni e duemila cavalieri. Dopo una prima parte del viaggio favorevole, mentre ci avvicinavamo alle coste dell'isola fummo ostacolati da forti venti e solo a forza di braccia i rematori portarono le navi a Portus Dubris (Dover).

I nemici spaventati dal gran numero di navi, circa ottocento, visto che alle nostre seicento si erano accodate navi di mercanti e di curiosi, si erano concentrati sulle alture. Appena sbarcati Cesare ordinò che si fortificasse il campo. Catturati alcuni prigionieri venimmo a sapere dove si erano nascosti i Britanni.

Lasciate a Quinto Atrio dieci coorti (circa 4.500 uomini) e trecento cavalieri per presidiare il campo, al terzo turno di guardia (tra mezzanotte e le tre di mattino) partimmo in caccia dei nemici.
Percorse di notte dodici miglia (circa 18 km) avvistammo i Britanni.

Questi avanzarono con la cavalleria e gli essedi, ma respinti dai nostri si rifugiarono in un luogo favorito dalla natura, nel quale probabilmente per precedenti guerre avevano ammassato tronchi d'albero per impedire gli accessi. Da questi ripari talora uscivano a piccoli gruppi per attaccarci, allora gli uomini della VII legione, fatta la testuggine, riuscirono a stanarli. Cesare tuttavia trattenne i legionari, che volevano inseguirli, poiché essendo il giorno ormai avanzato, voleva che restasse tempo per fortificarci.

La mattina seguente mentre eravamo in caccia dei nemici e già vedevamo la loro retroguardia, fummo raggiunti da alcuni cavalieri mandati da Quinto Atrio, per avvertire Cesare che la notte precedente il mare era stato sconvolto da un uragano così forte che le navi strappate dalle ancore si erano arenate sulla spiaggia.

 

V – Fermate le legioni e la cavalleria, Cesare ordinò che si fortificassero mentre lui tornava indietro per vedere quali e quanto gravi fossero i danni.

Constatato che tranne quaranta tutte le altre navi erano, seppur a fatica, riparabili, scrisse a Labieno di costruire quante più navi poteva e di mandargli i migliori operai, da aggiungere a quelli delle legioni che aveva con sé. Fatte tirare tutte le navi in secco, lavorando senza soste giorno e notte, i legionari costruirono un'unica linea di fortificazione che comprendeva il vecchio campo e le navi.

Appena l'opera fu completa, ripartì per il luogo dal quale era venuto. In quell'arco di tempo i Britanni da ogni dove avevano mandato truppe e riponendo gli antichi odi, avevano affidato il comando supremo a Cassivellauno, re dei Cativellauni, il cui regno è separato dalle terre dei popoli marittimi da un fiume chiamato Tamigi, che si trova a circa ottanta  miglia (120 km) dal mare.


Cassivellauno

I Cativellauni, come pure gli Iceni ed i Coritani si dicono originari dell'isola, mentre le popolazioni marittime per lo più sono arrivate dalla Gallia Belgica. Tra queste i più civili sono i Cantii (gli abitanti dell'attuale Kent).

Il clima in queste regioni è più mite di quello della Gallia, per tale motivo dalla Belgica sono arrivate un gran numero di genti, che occupato il Cantio ne hanno coltivato il territorio ed allevato un gran numero di animali.

Numerosissime sono le case del tutto simili a quelle della Gallia.

Nelle regioni interne invece le coltivazioni sono scarse, poiché gli abitanti si cibano per lo più di carne e di latte; le uniche coltivazioni sono di orzo che serve loro per produrre la cervesia (birra), che bevono allungata con miele in quantità spropositata, mentre i popoli della costa, come tutti quelli di origine Germanica, ne fanno un consumo moderato.

Portano lunghe capigliature e si radono tutto il corpo eccetto la testa e il labbro superiore, in guerra si tingono con il guado che dà loro un colore ceruleo, per rendere più orrido il loro aspetto. Hanno mogli in comune a gruppi di dieci o più, i nati sono considerati figli di colui al quale la donna andò vergine. 

 

VI – Mentre eravamo in marcia fummo violentemente attaccati dalla cavalleria nemica e dagli essedi, che respinti si rifugiarono nelle selve. 

Come avevamo sperimentato l'anno precedente i Britanni combattevano in modo da mettere in difficoltà la nostra fanteria pesante. Infatti all'improvviso uscivano dalle selve e a piccoli gruppi attaccavano i nostri, che impacciati dalle pesanti armature non erano in grado di inseguirli.

Cesare ricorse allora ad uno stratagemma, mandate tre legioni a foraggiare, lanciò l’esca e attese l’attacco nemico.

Quando i Britanni arrivarono con quattromila essedi, immediatamente i legionari accorsero sotto le insegne; mentre il combattimento infuriava, Cesare sopraggiunse con le altre due legioni e la cavalleria.


Essedi

I nemici presi alle spalle non poterono balzare giù dai carri, secondo il loro solito, ma girati i carri cercarono la salvezza nella fuga.
Dei loro fanti, tranne quei pochi che riuscirono a fuggire nei fitti boschi, tutti gli altri furono uccisi, o presi prigionieri.

Visto l'esito della battaglia i rinforzi che stavano per ingrossare le fila di Cassivellauno, fecero ritorno nelle loro terre e mai più si videro tornare.

 

VII – Cesare per mettere fine alla guerra avanzò verso il Tamigi puntando contro il regno di Cassivellauno, che confina con il territorio degli Iceni e dei Trinovanti.

Per portare dalla sua parte questi ultimi il loro re Inianuvetio era stato assassinato per ordine di Cassivellauno. Il figlio Mandubracio, scampato alla morte, aveva raggiunto Cesare in Gallia e ora era tornato con noi per riconquistare il regno.


Mandubracio

Rassicurati dalla presenza di Mandubracio i Trinovanti mandarono ambasciatori, chiedendo che Cesare rimandi Mandubracio perché assuma il regno.

Promettono di conformarsi ai suoi ordini.

Cesare comandò che gli fossero consegnati quaranta ostaggi e grano per l'esercito, ciò che fecero puntualmente.

Gli Iceni, assieme a tribù minori, confortati dalla clemenza di Cesare, seguirono l'esempio dei Trinovanti e passarono dalla nostra parte.

Cassivellauno stava raccogliendo il frutto della sua perfida crudeltà. 

 

VIII – Arrivato sul Tamigi, Cesare fu guidato dai Trinovanti nell'unico punto dove si poteva attraversare a piedi.

Dall'altro lato del fiume i nemici ci aspettavano in armi: Cesare pertanto mandò avanti la cavalleria, seguita dai legionari con tanto impeto che i nemici non ressero ai nostri e si diedero alla fuga. 

Cassivellauno, visto che la fanteria era per lui solo un peso, trattenne presso di sé solo gli essedi e la cavalleria scelta, congedò tutti gli altri, non volendo o non potendo sfamare quel gran numero di truppe che aveva chiamato alle armi.

Perduta la speranza di sconfiggerci in campo aperto, mutata tattica, decise di logorarci attaccando i nostri cavalieri non appena si allontanavano dalla colonna delle legioni.

Cesare rispose devastando e bruciando i villaggi dei suoi sudditi.

Gli Iceni, che come detto erano passati dalla nostra parte, informarono Cesare che Cassivellauno si era nascosto con le sue truppe, fortificandosi entro una fitta foresta.
Cesare allora avanzò con tutte le legioni (erano cinque), i Britanni dopo una breve resistenza scapparono, abbandonando nel campo una grande quantità di bestiame.

Uccidemmo molti dei nemici, moltissimi ne facemmo prigionieri.

 

IX – Cassivellauno, in un estremo tentativo di resistenza, inviò messi nel Cantio chiedendo ai capi delle maggiori tribù di attaccare il nostro presidio, che a Porto Dubris difendeva le navi, sperando in tal modo di costringere Cesare a correre in soccorso dei suoi.

In risposta alla richiesta di Cassivellauno i Cantii, nominato Lugotorige capo delle truppe subito raccolte, avanzarono verso il campo, sperando di coglierci di sorpresa. Ma appena i nemici furono avvistati i nostri effettuata una sortita, tanto inattesa quanto violenta, costrinsero i Britanni ad una disordinata fuga, in tale confusione lo stesso Lugotorige fu catturato.

Cassivellauno, falliti tutti i suoi tentativi, abbandonato da un gran numero di popoli, per il tramite di Commio, chiese la pace.

Cesare che non voleva essere invischiato in una guerra che lo avrebbe impegnato per tutta l'estate, mentre Labieno lo informava che i Galli  preparavano una nuova ribellione, dettò le sue condizioni, imponendo a Cassivellauno di consegnare un gran numero di ostaggi, di pagare un tributo annuo, di guardarsi dal minacciare Mandubracio e i Trinovanti.

Ricevuti gli ostaggi tornò a Porto Dubris e da qui ci imbarcammo per Porto Itio.
Per il gran numero di prigionieri furono necessari due viaggi.

L'estate stava finendo ed ormai si avvicinava l'equinozio, quando per nostra fortuna tutte le navi rientrarono incolumi.

 

X – Per sondarne l'animo Cesare tenne a Samarobriva (oggi Amiens) un gran concilio dei Galli.

Costoro difficilmente riescono a celare i propri sentimenti, pertanto non fu arduo capire che alcuni di loro stessero tramando qualcosa.
In verità durante la sua assenza Cesare aveva affidato a Tito Labieno il compito di gestire la situazione. Ma Labieno, uomo più di guerra che di pace, con la sua tracotanza aveva fortemente agitato i capi Galli.

Per tali motivi, adducendo come ragione il fatto che per la siccità il raccolto di grano era stato scarso, Cesare distribuì le legioni presso varie popolazioni. Comunque i vari accampamenti non distavano l'uno dall'altro oltre cento miglia (circa 150 km).

Il legato Gaio Fabio si insediò tra i Morini, Quinto Cicerone tra i Nervi, Lucio Roscio tra gli Eburovici, Labieno tra i Remi ai confini con i Treveri, Gaio Trebonio tra gli Ambiani, Marco Crasso tra i Bellovaci, Munazio Planco tra i Parisii, mandò tra gli Eburoni al comando Di Titurio Sabino e Aurunculeio Cotta, una legione, di recente arruolata e cinque coorti.

Gaio Fabio Quinto Cicerone Gaio Trebonio Munazio Planco

Lo stesso Cesare restò in Gallia fino a quando non furono adeguatamente fortificati tutti i campi.

Intanto Tasgezio, uomo nobilissimo, valorosissimo e fedele, che Cesare aveva posto a capo dei Carnuti, dopo tre anni di regno fu messo a morte.

Cesare vedeva dietro questo assassinio la mano dei Druidi, pertanto ordinò a Munazio Planco di lasciare le terre dei Parisii, di attestarsi nei pressi di Cenabum in pieno territorio dei Carnuti, di scoprire chi fossero i responsabili dell'assassinio di Tasgezio, di catturarli e di mandarglieli.

 

XI – Da quindici giorni ci eravamo stabiliti negli accampamenti invernali, quando inattesa scoppiò la rivolta degli Eburoni: infatti i loro capi Ambiorige e Catuvolco avevano consegnato il grano per l'inverno a Sabino e Cotta, non lasciando prevedere ciò che poi avrebbero fatto sotto la spinta del Trevero Induziomaro, che garantiva loro il suo aiuto se fossero scesi in guerra contro i Romani.

Ambiorige Catuvolco

Gli Eburoni tentarono un primo assalto contro il nostro accampamento, ma respinti dai nostri, ricorsero all'inganno.
In verità gli Eburoni sono un piccolo popolo, sembrava quindi impresa molto al di là delle loro forze quella di sfidare i Romani.

Poiché gli aiuti promessi da Induziomaro non arrivavano, Ambiorige, che molti benefici aveva avuto da Cesare – tra l'altro gli aveva restituito il figlio ed il nipote presi in ostaggio dagli Aduatuci – raggirò Titurio, che contro la volontà di Cotta, prese per buone le promesse di Ambiorige.

Costui garantiva sulla sua parola che se i Romani si fossero ritirati dal loro accampamento lasciando il territorio degli Eburoni non sarebbero stati attaccati. Come detto Cotta dissentendo da Titurio intendeva resistere, ma alla fine cedette all'ostinazione del collega.

Caduti in una imboscata gran parte dei nostri fu massacrata, quei pochi che si salvarono raggiunto Labieno lo informarono del disastro al quale li aveva condotti Titurio.

 

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