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MONTE DE’ CENCI E PALAZZETTO

Monte de’ Cenci e Palazzetto - Piazza delle cinque Scole
Piazza delle cinque Scole - clicca per ingrandire

Accanto alla piazza delle cinque Scole (la “Scole” degli Ebrei: di rtio italiano la "Scola Nova", la "Scola del Tempio", la "Scola Siciliana"; di rito spagnolo la "Scola Castiliana"; di rito catalano la "Scola Catalana"), proprio al centro di Roma, troviamo, quasi isolato dal traffico, uno degli angoli più suggestivi della città, formato dal Monte de' Cenci e dal palazzo di famiglia.

Muovendoci dalla piazza delle cinque Scole, dove è posta la bella fontana di Giacomo Della Porta, salendo per una breve stradina, arriviamo nella tranquilla piazzetta sulla quale si affaccia un bel palazzo rinascimentale dal nobile portale.

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Monte de’ Cenci e Palazzetto Monte de’ Cenci e Palazzetto
Fontana di Giacomo Della Porta Palazzo rinascimentale

Proseguendo la nostra passeggiatina imbocchiamo la discesetta in fondo alla quale, guardando a destra, vediamo l'armonioso palazzetto Cenci, collegato ad altri corpi di fabbrica dalle forme suggestive.
Passando sotto all’arco dei Cenci, ci portiamo sul retro del palazzetto, concludendo il nostro giretto in via di Santa Maria del Pianto.

Palazzetto Cenci
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Intitolato alla famiglia dei Cenci, questo appartato quartierino richiama alla memoria la cupa tragedia che segnò il nome dei Cenci.
Il papato di Clemente VIII Aldobrandini fu segnato da due episodi nefandi: la condanna al rogo di Giordano Bruno e la decapitazione di Beatrice Cenci.

Beatrice fu condannata nel 1599 sotto l’accusa di aver partecipato all’assassinio del padre, il conte Francesco, assieme alla matrigna Lucrezia e al fratello Giacomo. L’indegno padre era già stato condannato due volte per "colpe nefandissime" e durante il processo fu accusato di aver stuprato Beatrice. Non di meno, sfidando l’ira del popolo romano, Lucrezia, Beatrice e Giacomo furono condannati a morte, le donne per decapitazione, l’uomo per squartamento.

Le condanne, eseguite davanti a Castel Sant’Angelo, provocarono una insurrezione popolare con morti e feriti. Ai disordini prese parte, ovviamente, Caravaggio con Orazio Gentileschi e con il mite Guido Reni. Visto che i beni dei Cenci, messi all'asta, finirono agli eredi di Clemente VIII, il nome del Papa fu infamato e la memoria della orrenda esecuzione della giovane Beatrice è tutt'ora viva.

La tragica vicenda dei Cenci ha ispirato scrittori come Shelley, Stendhal e Dumas padre.

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Clemente VIII ritratto da Silla Longhi Beatrice Cenci ritratta da Guido Reni Guido Reni, autoritratto
Clemente VIII ritratto da Silla Longhi Beatrice Cenci ritratta da Guido Reni Guido Reni, autoritratto

Del contradditorio Papato di Clemente VIII Aldobrandini si ricordano soprattutto tre episodi: la condanna di Beatrice Cenci, avversata da numerosi cardinali e dal sentimento popolare; la condanna per eresia di Giordano Buno e infine la pubblicazione della bolla “Caeca et Obdurata” (cieca e ostinata), che riprendeva la persecuzione degli ebrei sancita dalla “Hebraerum gens” di Papa Pio V Ghisleri che nel 1569 ordinava la cacciata degli Ebrei dallo Stato Pontificio, con l'eccezione dei Ghetti di Roma e Ancona.

Nonostante Papa Sisto V Peretti nel 1580 avesse abrogato le disposizioni di Pio V, Clemente VIII le rimise in vigore, salvo scoprire la dipendenza dell'economia dello stato dalle attività degli Ebrei. Di conseguenza le prescrizioni della bolla non furono applicate, ma per dimostrare la sua inflessibilità dottrinale il Papa diede alle stampe la bolla “Cum Hebraeorum malitia”, che vietava agli Ebrei il possesso del Talmud e di ogni altro testo sacro.

Provvedimento che si iscrisse nella infinita serie di quelli detti: “Tanto chi controlla?”.

In merito alle persecuzioni degli Ebrei è interessante osservare che un secolo prima del Papato del poco Clemente VIII, Alessandro VI Borgia aprì le porte di Roma a tutti gli Ebrei in fuga dalla Spagna, allo stesso modo i suoi successori Giulio II, Leone X, Clemente VII e Paolo III, mentre a Venezia nel 1517 veniva istituito il primo ghetto, lasciarono in pace i Giudei.

Peraltro studi relativamente recenti, attribuiscono ai Giudei la principale responsabilità della persecuzione dei Cristiani durante l'impero Romano. In altri termini sarebbero stati i Giudei ad accusare i Cristiani delle peggiori nefandezze presso i governatori romani delle province e se non bastava ricorrevano agli stessi imperatori, che tuttavia davano loro scarsa soddisfazione. Allo scopo si ricorda che Tiberio, pochi anni dopo la morte di Gesù, propose al Senato Romano di riconoscere ai Cristiani libertà di culto.

Certamente all'inizio il Cristianesimo si manifestò come un fenomeno socialmente eversivo, ciò spiegherebbe la reazioni dei ceti dominanti delle province Giudaica e Siriana, dove cominciò a diffondersi il nuovo Credo.
Mentre le persecuzioni antiebraiche che dilagarono in Europa, spesso in contemporanea con la respinta delle invasioni islamiche, sembrano dovute a prevalenti motivazioni economiche, alle quali l'integralismo religioso fornì una decorosa copertura.

 

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