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SANT’IVO ALLA SAPIENZA

Il palazzo della Sapienza ha una lunga storia. Fu iniziato da Papa Eugenio IV a metà del 1400, per riunire in una unica sede l’università di Roma, che era stata posta in Trastevere da Papa Bonifacio VIII nei primi anni del 1300 e successivamente era stata trasferita in varie case del rione Sant’Eustachio. I lavori andarono avanti fino al 1670 quando Papa Alessandro VII Chigi inaugurò Sant’Ivo alla Sapienza. In quel tempo l’università aveva due facoltà: Teologia e Giurisprudenza, solo successivamente si aggiunsero Medicina e Chimica. Il palazzo restò la sede principale dell’università di Roma “la Sapienza” fino a quando sotto il fascismo fu costruita la città universitaria.

Tra i tanti architetti che si alternarono nei due secoli della costruzione, ricordiamo: Guidetto Guidetti che nel 1568 iniziò la grande trasformazione delle precedenti costruzioni, poi Pirro Lagorio, il grande Giacomo della Porta, al quale si deve tra l’altro la facciata su corso del Rinascimento ed infine il grande dei grandi, Borromini.

Borromini lavorò a S. Ivo alla Sapienza dal 1642 al 1660. Il nostro amatissimo Borromini abbracciò il cortile della “Sapienza” con la facciata concava di Sant’Ivo, sopra la quale si alza la convessità del tamburo della cupola e si inseguono forme concave e convesse che proiettano nel cielo la cuspide elicoidale del lanternino, per finire nella croce sovrastante il fastigio.

Quest’opera è una delle maggiori testimonianze del genio tormentato del Borromini. La ricerca dell’armonia nel movimento contrastato delle curve, la cura maniacale di ogni dettaglio, la fuga verso il cielo, questo è Borromini: genio, emozione, commozione. Sant’Ivo che cerca il cielo ha ispirato al Belli uno dei suoi grandi sonetti,

ER MONNO MURATORE

Pe véde  cosa c'è ssopr'a le stelle
Che sse pò ffà? » diceveno le gente.
Fece uno: « E che ce vò? nun ce vò gnente:
Frabbicamo la torre de Babbelle.

 

Sù, puzzolana, carcia, mattonelle...
lo capo-mastro: tu soprintennente...
Lavoramo, fijoli, allegramente!... »
E Dio 'ntanto rideva a crepa-pelle.

 
Già ssò ar par de la croce de San Pietro, secondo i romani la croce di San Pietro è la massima altezza alla quale una costruzione può  arrivare.
Quanno, ch'edè?! je s'imbroja er filello,
E invece d'annà avanti vanno addietro.
filello=scilinguagnolo

Gnisuno ppiù capiva l'itajano;
E mentr'uno diceva: « Qua er crivello »,
L'antro je dava un zecchio d'acqua in mano.

 
  Roma, 17 febbraio 1833

 

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