logo del sito Romainteractive
Sei in: Home > Storia di Roma > De Bello Germanico > Plotina raggiunge Traiano

PLOTINA RAGGIUNGE TRAIANO

I
Mentre si svolgevano questi aspri combattimenti, Claudia Pompeia Plotina, moglie di Traiano, lo raggiunse portandogli da Roma notizie allarmanti.

Plotina confidò a Traiano che, secondo le sue informazioni, i più potenti senatori si stavano coalizzando contro l’imperatore.
In verità già in passato furono ordite congiure contro Domiziano, ma, scoperte, furono spente. Tuttavia mai si era formata una vera coalizione come quella attuale, che tentava addirittura di insinuarsi nel palazzo imperiale.
La maggioranza dei senatori restava fedele a Domiziano, ma, come sempre, non sono i numeri a determinare il corso degli avvenimenti, se, come di fatto stavano le cose, i più potenti senatori, seppure pochi, si coalizzavano.
Tutto ciò avveniva perché Domiziano aveva aperto le cariche pubbliche e quindi il senato a “uomini nuovi”, i vecchi potentati rischiavano di scomparire, da qui un sordo risentimento contro l’imperatore, che d’altro canto non mostrava di voler tornare sui propri passi.
Peggio ancora, l’imperatore affidava la gestione della cosa pubblica solo a uomini fidati e a liberti.

Traiano dopo aver ascoltato Plotina si consigliò con Lucio Licinio Sura e subito dopo si riunì con i suoi uomini più fidati.
Il timore di Traiano era che i torbidi di Roma provocassero uno stato di anarchia con effetti destabilizzanti sulla dura guerra che stava conducendo contro gli Suebi e gli Iazigi, fortissimi popoli.

Infine furono prese queste decisioni: Sura si doveva recare a Roma per informare, secondo il normale costume, l’imperatore e il senato sull’andamento della guerra.
Sura uomo esperto, prudente e avveduto aveva dunque il compito fondamentale di tenere l’esercito di Traiano e Traiano stesso fuori dalle congiure e libero da impedimenti. Sura dunque avrebbe dovuto illustrare i successi finora conseguiti, chiarire quale enorme rischio rappresentassero per l’integrità dell’impero gli Suebi e gli Iazigi e infine, argomento assai delicato, doveva cautamente lodare la potente macchina da guerra rappresentata dalle otto legioni comandate da Traiano e dalle forze ausiliarie che fedelmente lo seguivano.

Peraltro incerto su ciò che avrebbe riservato il futuro, Traiano decise di rivedere i propri piani. Finora aveva inferto dure sconfitte ai Quadi, catturato un gran numero di prigionieri e di cavalli, attendendo gli attacchi dei barbari, ma a questo punto era necessario arrivare ad un decisivo confronto, tanto più in quanto gli Iazigi non sarebbero stati eternamente inerti.

Dunque non poteva più attendere le mosse dei Quadi, doveva provocarne la reazione.

 

II
Era ormai chiaro agli stessi Quadi che essi non erano in grado di conquistare le fortezze dei Romani, dunque lo scontro decisivo, cercato da Traiano non poteva avvenire che all’interno delle loro terre.

Per tale ragione Traiano ordinò al legato Tiberio Claudio Liviano, che comandava la fortezza di Carnuntum, di inviargli i distaccamenti della cavalleria numidica che erano rimasti presso di lui.
I Numidi fino dai tempi di Scipione Africano hanno fornito ai Romani la loro cavalleria e pur essendo inquadrati come truppe ausiliarie, godono della stessa dignità dei nostri soldati, il loro capo era Lusio Quieto, principe dei Mauri, che come abbiamo detto già si trovava presso Traiano.
Lusio Quieto, uomo fiero e orgoglioso, negli anni precedenti era caduto in disgrazia presso Domiziano, ma grazie a Traiano era stato perdonato e reintegrato nel comando.  

Dunque i Numidi in numero di circa 3.000, si imbarcarono sulla flotta Pannonica per raggiungere Traiano, che nel frattempo ordinò alla legione XXI Rapax di stanza ad Aquincum di muovere verso il secondo campo.
Come abbiamo detto i Romani avevano costruito tre campi fortificati, lungo una linea avvolgente che penetrava nel territorio dei Quadi, lasciando, nelle retrovie ad Est, fertili pascoli necessari sia per la pastura della nostra cavalleria che per alimentare gli armenti, queste terre restavano tuttavia esposte alle scorrerie degli Iazigi, dei quali come ladri e briganti bisognava diffidare.
Traiano dunque decise di costruire una nuova fortezza che divenne il quarto campo. Questa fortezza doveva ospitare inizialmente almeno due legioni e gli ausiliari di cavalleria. Da qui si dovevano tenere sotto controllo gli Iazigi.

I Romani hanno sempre avuto una grande maestria nel costruire gli accampamenti, sia per la scelta dei luoghi, che devono essere sempre vicini alle acque, sia per le tecniche costruttive adottate e soprattutto per il disegno stesso degli accampamenti nei quali tutti i servizi e le necessità sono previste. Va infatti osservato che la presenza di un gran numero di uomini e di cavalli provocherebbe problemi igienici gravissimi se tutto non fosse accuratamente progettato.
Invece i barbari che non hanno l’abilità e la disciplina dei nostri non costruiscono accampamenti stabili, ma dei semplici attendamenti nei quali regna il massimo disordine e per di più difesi soltanto dai loro carri.

I nostri invece, temperati da una lunga pratica, in breve tempo sono in grado di erigere delle vere città, seguendo uno schema sperimentato in mille battaglie. Traiano fece costruire il quarto campo, mentre ampliava il terzo, dove egli si trovava, che secondo i suoi piani doveva diventare la fortezza principale nella terra dei Quadi, protetta com’era alle spalle dai Cotini e dai monti ricchi di legname che si ergevano a Nord Est.

Infaticabile com’era Marco Ulpio, accompagnato da Apollodoro di Damasco, seguiva i lavori dei legionari dentro e fuori dagli accampamenti. Anche fuori poiché, in attesa dello scontro decisivo, le strade che congiungevano i campi Romani, venivano ampliate e migliorate con la costruzione di ponti, che attraversando i fiumi di cui è ricco quel territorio, consentissero rapide e sicure comunicazioni anche quando sarebbe arrivata la stagione invernale.

 

III
Allestito il quarto campo, vi fu stanziata la legio XXI Rapax, cosa quanto mai opportuna poiché gli Iazigi, attratti dalla grande quantità di bestiame che i Romani avevano condotto in quelle terre ricche di pascoli, si preparavano a fare scorrerie.

Fu necessario mettere all’opera le macchine da guerra perchè queste bande di predoni fuggissero.
Tuttavia quanto era avvenuto era il segno che gli Iazigi si erano rimessi in azione.
Come abbiamo detto la scomparsa del premio che Decebalo re dei Daci diceva di aver pagato, aveva acceso tra i capi degli Iazigi un conflitto che li aveva distratti da ogni altro pensiero, ma ora l’avanzata dei Romani aveva provocato una viva preoccupazione tanto da convincerli a superare i dissidi e affidare le proprie sorti ad un unico comandante Lutargo, imparentato con Susago re dei Sarmati Roxolani.

Lutargo, uomo astuto e prudente, era avanti negli anni e ben conosceva l’avidità delle proprie genti. Gli Iazigi infatti non sono mossi dall’ambizione di conquistare nuove terre come i Germani, essi muovono guerra unicamente per impadronirsi di ricche prede, soprattutto cavalli e armenti, oppure combattono al soldo di altri.
Lutargo dunque per prima cosa riprese i contatti con Decebalo, chiedendo che alfine il premio promesso dal re dei Daci fosse pagato (si trattava di una ingente quantità d’oro), se ciò non fosse avvenuto non solo gli Iazigi avrebbero lasciata libera la strada ai Romani, ma addirittura sarebbero tornati ad essere loro alleati.
Decebalo era astuto, Lutargo pure, le trattative si protrassero a lungo, fintanto che Decebalo si risolse a pagare almeno in parte il proprio debito, era ciò che voleva Lutargo che di combattere contro i Romani non aveva nessuna voglia.

In tal modo il capo degli Iazigi senza dovere combattere mantenne tranquillo il proprio popolo distribuendo l’oro tra le varie tribù.

Decebalo si era risolto a trattare con Lutargo poiché ai confini del proprio regno si stavano ammassando i Sarmati Roxolani, il cui re Susago era, come abbiamo detto, imparentato con Lutargo. La Dacia è ricca di miniere d’oro e di quest’oro intendeva fare uso Decebalo per mantenere la pace con i vicini Sarmati, ma certamente se si fosse diffusa la fama che Decebalo non onorava le promesse fatte il suo oro sarebbe servito a poco.

 

back

Vai al sito dell'Università di Roma Tor Vergata