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PER SAPERNE DI PIÙ: BERNINI

Nel 1630, alla morte di Maderno, Bernini fu chiamato a collaborare con Borromini, che di Maderno, vecchio e quasi cieco, era il prezioso aiuto, per completare Palazzo Barberini.

Difficile immaginare due caratteri più antitetici e come era facile da prevedere finirono per diventare aspramente rivali.

Un esempio divertente di questa rivalità è narrato dal Guattani nel suo “Monumenti antichi, ovvero notizie sulle antichità e belle arti di Roma” (1787). La premessa è che Bernini abitava in quel palazzo di via della Mercede, dove oggi si vede un suo busto, fatto sta che quel palazzo è sovrastato da due capolavori di Borromini, il palazzo di Propaganda Fide e il campanile di Sant’Andrea delle Fratte.

Bernini non gradì.

Scrive il Guattani: “Il bizzarro e capriccioso Bernini nel dare quella forma di fallo ad un modiglione che regge ancora un balcone sull’angolo della sua casa, altro non voleva che dileggiare il suo emolo Borromino, il quale sull’angolo opposto della fabbrica di Propaganda Fide nell’arma del papa, in luogo dei cartocci, vi aveva posto due orecchie asinine per deridere il suo avversario”.
Andò a finire che l’autorità non apprezzò lo stile della dialettica e gli ornamenti furono rimossi.

Del resto Bernini non disdegnava qualche artistica scurrilità, ne è prova l’elefantino di Piazza della Minerva, la cui realizzazione fu affidata dai Domenicani a Gian Lorenzo, deludendo le aspettative di un loro confratello, che per vendicarsi dell’affronto subito mise in dubbio la staticità dell’opera, in forza del fatto che l’elefante non sarebbe riuscito a sostenere il piccolo obelisco soprastante. Bernini fu allora a costretto a nascondere sotto una gualdrappa il blocco di travertino posto a sostegno dell’elefantino.
In compenso l’elefantino è scolpito in una posa piuttosto equivoca, sembra infatti mostrare il deretano in direzione delle finestre dove abitava il deluso Domenicano.

Durante il papato di Urbano VIII Barberini Bernini ebbe per così dire carta bianca e anche la tomba di Cecilia Metella corse un bel (o brutto), rischio, infatti il Papa (“quod non fecerunt Barbari fecerunt Barberini”), autorizzò  Bernini a demolire il mausoleo per ricavarne “il bellissimo marmo”.
I romani insorsero e Cecilia Metella fu salva.

Venuto a morte il filo francese Urbano VIII, gli successe il filo spagnolo Innocenzo X, tornò in auge Borromini e Bernini fu oscurato, ma Gian Lorenzo era uomo di molte risorse.
La cognata del nuovo Papa, Olimpia Maidalchini, donna di rara venalità, che i romani chiamavano la Pimpaccia, fu conquistata da Gian Lorenzo che le fece dono di un modello d’oro della fontana dei Quattro Fiumi e per questa via rientrò nelle grazie papali (questa la vulgata del partito filo francese).

A proposito della Fontana dei Quattro Fiumi, gli avversari di Bernini, atteso che l’obelisco poggia su una sottile lastra di travertino, scatenarono una polemica circa la sua statica, provvide Bernini a tranquillizzare tutti: una mattina si presentò in piazza con i suoi assistenti e ancorò l’obelisco ai vicini edifici con un filo di seta.
Quella della mancanza di statica fu una pervicace accusa lanciata contro il Bernini e talora ebbe successo, accadde infatti che avesse eretto un campanile sulla facciata della Basilica di San Pietro, che appunto per problemi di statica fu abbattuto.
Mentre sul Pantheon aveva innalzato due campanili, non propriamente amati dai romani che li battezzarono “le orecchie d’asino”, anche questi dopo la sua morte furono abbattuti. 

Bernini architetto deve la sua fama soprattutto al geniale colonnato di piazza San Pietro e alla chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, ma, come ebbe a dire lui stesso, la sua predilezione era la scultura.

Gli angeli di Sant'Andrea delle Fratte - clicca per ingrandire

A Roma innumerevoli sono le sue opere, nelle quali mostra un solare amore del bello, esaltato dalla carnalità dei suoi marmi. Gli angeli di Sant’Andrea delle Fratte ne sono una delle migliori testimonianze, ma l’opera che più di ogni altra caratterizza tutto un secolo di scultura è la Cappella Cornaro a Santa Maria della Vittoria.
La rappresentazione del Bernini è sconcertante, Santa Teresa di Avila è colta in un atteggiamento più sensuale che mistico, come se si trovasse su un palcoscenico, inquadrato da palchi dai quali si affacciano i Cornaro.

La Cappella Cornaro a Santa Maria della Vittoria

Il tema dell’estasi mistica doveva essere particolarmente caro a Gian Lorenzo che lo ribadì a San Francesco a Ripa nella scultura della Beata Ludovica Albertoni.
La galleria di Palazzo Barberini con il busto di Papa Urbano VIII, esibisce le virtù di Bernini ritrattista, non è questo infatti un ritratto di maniera, ma sembra penetrare nell’animo del Papa, mostrandone una vena di melanconia se non di tristezza.

 

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