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FRANCESCO BORROMINI

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Francesco Borromini moriva il 3 agosto 1667 dopo tre giorni di agonia.
Aveva tentato il suicidio colpendosi con il proprio pugnale.

Il suo valletto tentò di salvarlo, ma le cure servirono soltanto a prolungarne le sofferenze.

In quelle ore tremende Borromini si confessò, ricevette i sacramenti e fu sepolto in terra consacrata, nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, accanto allo zio Carlo Maderno, secondo la sua volontà.

Francesco era nato a Bissone sul lago di Lugano, nel 1599, il cognome della famiglia, molto diffuso nella zona, era Castelli.

Forse per distinguersi dagli altri Castelli, più probabilmente per devozione a San Carlo Borromeo, quando venne a Roma prese il nome di Borromino.

Per certo già a vent’anni, nel 1619, era a Roma, al servizio dello zio materno, il grande Carlo Maderno, che lo mise all’opera come apprendista, facendogli scolpire i capitelli della lanterna di Sant’Andrea della Valle.

Fino a quando morì nel 1629 Carlo Maderno, primo architetto della Fabbrica di San Pietro, prediletto da Papa Paolo V Borghese, poi da Gregorio XV Ludovisi infine da Urbano VIII Barberini, fu la figura dominante dell’architettura romana.
Borromini lo servì con totale dedizione, fino a quando vecchio e quasi cieco Maderno affidò in toto al nipote la direzione dei lavori nei quali era impegnato, prima di tutto San Pietro e poi Palazzo Barberini.

Ma nel frattempo nel cielo era apparsa una nuova stella: Gian Lorenzo Bernini, l’opposto di Borromini, scontroso e orgoglioso l’uno, amabile e disponibile l’altro. All’intransigenza di Borromini si contrapponeva la duttilità di Bernini, che in breve conquistò la fiducia di Papa Urbano VIII, tanto che alla morte di Maderno ne divenne l’erede, anche se aveva scarse conoscenze di architettura e di ingegneria, quelle conoscenze che Borromini aveva acquisito al prezzo di tanto studio e lavoro.

Probabilmente il senso dell’ingiustizia subìta, visto che si trovò a fare il primo assistente di Bernini, spinse Borromini a richiudersi ancor di più in se stesso.

All’inizio la convivenza tra i due sembrò pacifica, e nel completamento di Palazzo Barberini apparentemente non sorsero problemi. Anche se i disegni di Borromini, conservati a Vienna, dimostrano che Bernini scaricò su Francesco sia la componente progettuale che quella strutturale, in compenso ne rispettò l’estro, ben visibile nella tridimensionalità delle finestre della facciata e nella famosissima scala elicoidale.

Ma già qui si poteva intuire la rivalità tra i due, visto che nello stesso Palazzo si confrontano la scala di Francesco e quella di Gian Lorenzo Bernini, bella ma decisamente più convenzionale della creazione borrominiana.

Scala del Borromini - clicca per ingrandire Scala del Bernini - clicca per ingrandire

In seguito durante i lavori in San Pietro il dissidio esplose insanabile.
Borromini abbandonò Bernini e i lavori, dicendo che non solo non era stato pagato, ma neppure era stata riconosciuta la sua opera.
Quale sia stato il suo contributo non è chiaro, certo sono sue le due grandi cancellate nelle navate laterali, probabilmente di sua mano, almeno in parte è il baldacchino, in particolare il coronamento con le volute che richiamano il profilo di un delfino ma certamente non si limitò solo a questo.

Considerata la predilezione di Urbano VIII per Bernini, la vita per Borromini non fu facile, dovette aspettare il 1634 perché i padri trinitari gli affidassero la costruzione di San Carlo alle Quattro Fontane. E qui giova fare un inciso: la chiesa cattolica era allora divisa in due partiti, quello filo francese e quello filo spagnolo; Urbano VIII era stato eletto Papa dai filo francesi, contro il cardinale spagnolo Gaspare Borgia, del quale va ricordato che pur essendo grande inquisitore rifiutò di firmare la condanna a Galileo. Borromini era legato al partito filo spagnolo e i Trinitari che gli affidarono San Carlo alle IV Fontane erano spagnoli, per di più la chiesa era dedicata a San Carlo Borromeo amatissimo da Borromini.

La costruzione di San Carlo alle IV Fontane, noto come San Carlino, impegnò Francesco per tutta la vita, quindi consente di seguire la sua evoluzione artistica, grazie anche ai tanti disegni che attestano le varie fasi del progetto borrominiano.

I problemi che Francesco si trovò ad affrontare non furono pochi, intanto lo spazio a disposizione era limitatissimo, in secondo luogo i frati erano poveri e quindi poco il denaro disponibile. Quest’ultimo aspetto non preoccupò Francesco che amava plasmare materiali poveri come lo stucco e l’intonaco, per ottenere quella continuità delle forme curvilinee ad andamento contrapposto che caratterizza lo stile borrominiano.
Giunti a questo punto viene da chiedersi quale sia l’impronta che identifica il genio di Francesco.
A ben vedere prima di lui la forma-edificio era costituita da volumi geometricamente ben definiti, nei quali le facciate, siano esse di chiese o di palazzi, erano costituite da superfici piane che costituivano il fondo sul quale l’architetto disegnava gli ornamenti, mentre Borromini plasma la materia come fosse creta, da qui deriva la sua predilezione per l’intonaco, lo stucco, i mattoni; materie povere si, ma che gli consentono di dare vita a quella continuità spaziale, giocata per movimenti contrapposti: concavo, convesso, attraverso i quali si manifesta, e per la prima volta, la vera, completa tridimensionalità.

Tornando a San Carlino nel poco spazio a disposizione Francesco doveva costruire per i frati il convento e la chiesa.  
Nel 1635 cominciò a progettare il chiostro, attorno al quale organizzò il convento. Il chiostro e la facciata del convento, che prospetta su via del Quirinale, furono ultimati nel 1644.
Il piccolo chiostro, vero gioiello del barocco, del barocco severo dovremmo dire, ha la forma di un ottagono irregolare iscritto in un rettangolo.

Per esaltare il disegno Borromini ha scelto la monocromia, solo la luce che viene dal cielo crea i contrasti che evidenziano le forme. Qui si può osservare come il genio di Francesco, nell’impiego di materiali poveri si saldi con la semplicità della regola dei Trinitari.

L’attenzione incredibile con la quale Borromini curò ogni particolare dell’opera è testimoniata dai fogli autografi nei quali troviamo disegnati anche i “ferri” delle grate e del pozzo del chiostro.

La progettazione e la costruzione della chiesa occuparono Francesco fino alla sua morte, nel 1667, e la statua di San Carlo Borromeo, sopra all’ingresso, del grande Ercole Antonio Raggi, fu posta in opera solo nel 1680.

L’esterno di San Carlino mostra i tratti inconfondibili di Francesco: il movimento orizzontale nel quale le superfici concave si alternano con quelle convesse, lo slancio verticale affidato a grappoli di colonne.

L’esterno di San Carlino - clicca per ingrandire

Per avere una completa visione dell’esterno di San Carlino è bene scendere per qualche decina di metri lungo via IV Fontane, direzione via Nazionale.

L’interno ripercorre il movimento curvilineo dell’esterno, ma a questo si aggiunge il gioco delle luci proiettate dal lanternino della cupola e dalle finestre.

L’interno di San Carlino - clicca per ingrandire

Mentre i lavori a San Carlino procedevano, nel 1637 la congregazione dell’Oratorio (i seguaci di San Filippo Neri, perciò detti filippini), gli affidò la costruzione del loro convento e dell’oratorio, altro capolavoro di Borromini.

Un tempo l’oratorio e la contigua chiesa di Santa Maria in Vallicella si affacciavano su un piccola piazza, cancellata a fine ‘800 per l’apertura di corso Vittorio Emanuele. Per apprezzare l’opera di Borromini dobbiamo dunque tentare di ignorare il traffico di corso Vittorio ed immaginare di trovarci in un ambiente appartato nel quale la luce e il sole sono raccolti dalla facciata dell’Oratorio. Lo stesso Borromini disse che l’Oratorio è “un corpo umano con le braccia aperte, come che abbracci ogni uno che entri”.
L’Oratorio doveva testimoniare l’umiltà dei filippini, per tale motivo fu chiesto a Borromini di impiegare materiali poveri, ciò che il grande artista fece, con un virtuosismo evidenziato dall’impiego di mattoni diversi per dimensione e colore, tra la parte centrale dell’ordine inferiore e il resto, ottenendo un effetto di policromia che accompagna l’andamento, tipicamente borrominiano delle superfici, alternativamente concave e convesse. 

Da osservare che i mattoni nella parte centrale del primo ordine poco cotti, detti albasi, sono di colore paglierino, e sono più sottili degli altri, detti ferraioli, inoltre i giunti tra i mattoni albasi sono molto sottili, circa 2,5 millimetri, mentre tra i ferraioli i giunti sono di 1 centimetro. In questo modo appare continua la superficie degli albasi, alla quale si contrappone quella dei ferraioli.

Del complesso fa parte la splendida Torre dell’Orologio eretta da Borromini attorno al 1650.

Una di quelle visioni borrominiane che fece dire al Belli
“La morte sta anniscosta in ne l'orloggi;
E gnisuno pò dì: domani ancora
Sentirò batte er mezzoggiorno d'oggi”.

SEGUE

 

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